W3C: la licenza della discordia

Il consorzio WWW si appresta ad introdurre una nuova forma di licenza per gli standard su cui si fonda il World Wide Web. Al silenzio delle settimane precedenti si è sostituito il fragore delle polemiche. Si dovrà pagare di più per fare siti?
Il consorzio WWW si appresta ad introdurre una nuova forma di licenza per gli standard su cui si fonda il World Wide Web. Al silenzio delle settimane precedenti si è sostituito il fragore delle polemiche. Si dovrà pagare di più per fare siti?

Il Consorzio WWW, l’ente che regolamenta le attività architetturali del World Wide Web, è da alcuni giorni nell’occhio del ciclone. Lo scorso 30 settembre sono scaduti i termini, prorogati all’11 ottobre sotto l’incalzare delle polemiche, per la presentazione dei commenti pubblici su uno dei più controversi documenti mai prodotti: il W3C Patent Policy (Politica di brevetti del W3C).



Questo documento, tuttora semplicemente abbozzato, introduce di fatto una sorta di pagamento per gli standard (recommendation) promossi dal consorzio WWW. In altri termini, nei prossimi standard riconosciuti dal consorzio (ricordiamo che lo stesso HTML è uno standard), potrebbe essere introdotto il pagamento dei diritti verso quelle società che hanno contribuito e hanno visto riconosciuti i propri sforzi nell’approvazione dello standard stesso. Il pagamento dei diritti toccherà naturalmente a chi utilizzerà gli standard, utenti e grandi società.



La licenza prende il nome di RAND (Reasonable And Non-Discriminatory, ossia “giusta e non discriminatoria”) e potrà essere scelta, durante la costituzione di una recommendation, alla licenza RF (Royalty Free, ossia “libera dai diritti d’autore”). Il nome RAND deriva dalla necessità di richiedere, in quei casi in cui si riterrà necessario, il pagamento di diritti giusti (ossia ragionevolmente bassi) e non discriminatori (ossia uguali per tutti) per utilizzare la licenza.



Dal W3C fanno sapere che non tutte le recommendation potranno essere prodotte sotto licenza RAND. Quelle che attengono ai livelli più profondi dell’architettura del Web ne saranno preservate e quelle che aspirano ad un tale trattamento saranno oggetto di approfonditi controlli di legittimità.



Le reazioni all’annuncio sono state molte e da più parti si è paventata l’ipotesi che il modello “free”, quello che ha permesso alla rete internet di bruciare come tempi di diffusione tutti i media, venga affossato dai nuovi brevetti. Nella mailing list del W3C dedicata all’argomento sono comparse via via firme note della rete: Alan Cox (il numero due del “team Linux”), Tim O’Reilly (della omonima e influente casa editrice), Richard Stallman (il visionario creatore della Free Software Foundation), hanno tutti espresso la loro disapprovazione per le decisioni del consorzio.



Ma come si è arrivati a questo punto? La prima attestazione del problema risale al 1999. Nel luglio di quell’anno fu creato il Patent Policy Working Group (PPWG), ossia il nucleo di persone che avrebbero dovuto proporre i brevetti per gli standard del Web. Le giustificazioni a questa necessità erano sostanzialmente due:


  • Le numerose interruzioni ai progetti dovute a richieste di brevetti da parte di molte società implicate nella standardizzazione
  • Le richieste dei nuovi membri del Consorzio WWW (Microsoft ad esempio) opposte alla filosofia di sviluppo dei primi fondatori

Allora si trattava dunque di dover modificare una situazione che stava sfuggendo di mano agli stessi fondatori del W3C. Proprio nel febbraio 1999 si pose infatti il problema di come Microsoft potesse sfruttare il proprio brevetto sui CSS (Cascading Style Sheets), e nello stesso anno il W3C si vide costretto ad affrontare un simile problema sui diritti vantati dalla Intermind su alcune strutturazioni delle specifiche P3P. Il Web stava cambiando e la cosiddetta “IP Economy” (l’economia fondata sulla Proprietà Intellettuale e sui Copyright) allungava la propria ombra sull’universalità del World Wide Web.



Dal 1999 al 2001 il gruppo di lavoro (di cui fanno parte rappresentanti di Microsoft, Apple, Hewlett-Packard, Philips, MIT) ha stilato le specifiche e le ha rese pubbliche, in sordina, il 20 Agosto, richiedendo a chiunque di commentarle pubblicamente. Il 28 settembre i commenti pubblici giunti al W3C non superavano le venti e-mail. Il 30 settembre, quando la notizia fu diffusa in forme meno criptiche, i commenti salirono a 755 e mentre scriviamo sono circa mille. Grazie soprattutto ad Adam Warner e all’informazione fornita sul suo sito, le contraddizioni sono esplose.



In questi ultimi due giorni si è reso sempre più chiaro che la necessità di preservare chi crea opere d’ingegno, nuovi linguaggi e nuovi formati grafici debba forzatamente essere iper dibattuta quando in gioco ci sono i principi fondanti dell’internet: esportabilità, gratuità, apertura, universalità. Principi che ne hanno consentito la crescita e la proliferazione, e che hanno altresì consentito a società come Microsoft, Adobe, Kodak ecc. di espandere il proprio “business” in tutto il mondo.



E non sembri strano allora che proprio questo tipo di società ora premono alla porta del W3C per introdurre il concetto di copyright al World Wide Web. Il filo che lega le accuse della Microsoft al movimento open source, quando sotto sotto ne utilizzava gran parte dei prodotti, a queste ultime polemiche sembra essere sempre più chiaro. Vedremo cosa ne verrà fuori.

Ti consigliamo anche

Link copiato negli appunti