C'era una volta l'album

Nielsen SoundScan fotografa il capezzale della vecchia industria musicale: un ulteriore 4.9% del volume di vendita degli album se ne è andato, segno inconfutabile del mercato che cambia. La musica digitale, però, fatica a macinare cifre eguali
Nielsen SoundScan fotografa il capezzale della vecchia industria musicale: un ulteriore 4.9% del volume di vendita degli album se ne è andato, segno inconfutabile del mercato che cambia. La musica digitale, però, fatica a macinare cifre eguali

C’era una volta l’album. I cantanti erano legati a doppio filo dal titolo in uscita: un singolo a fare da apripista, poi l’LP o il più moderno CD. C’erano addirittura i “concept album”, quelli in cui l’autore infondeva tutto un teorema affrontando per ogni brano una sfaccettatura diversa del proprio messaggio. L’informatica, giorno dopo giorno, sta erodendo le basi di questo tipo di distribuzione la quale, ormai, sembra essere destinata a collezionisti e nostalgici. Opere in stile “The Dark Side of the Moon” o “Creuza de ma” oggi probabilmente non avrebbero più ragion d’essere.

I dati provenienti da Nielsen SoundScan parlano chiaro: un ulteriore 4.9% del volume di vendita degli album se ne è andato sotto le pressioni provenienti dall’informatica. Non che l’informatica stessa ne sia colpevole: uno strumento come iTunes ha semplicemente messo in mano all’utenza l’arma con cui uccidere quel poco apprezzato formato. L’utenza non ha atteso troppo per premere sul grilletto.

La musica digitale ha introdotto una grande rivoluzione: i brani possono essere acquistati singolarmente, al di fuori del contesto di un album in cui appena il 10% dei contenuti è apprezzabile ed il resto è pagliericcio per riempire la confezione. L’industria musicale ha abbracciato questa rivoluzione con molte ritrosìe (ora facilmente concepibili), ma con una doppia forte fiducia: in primis v’è il desiderio di andare incontro alla domanda per evitare un controproducente braccio di ferro che scaturisce giocoforza nell’aumento del fenomeno pirata; inoltre v’è il credo nelle opportunità concesse dal mondo digitale, ove la raggiungibilità del cliente è maggiore e dove un nuovo modello di business potrebbe pareggiare se non incrementare i numeri da capogiro da sempre macinati dalle major.

Quest’ultimo atto di fiducia non ha però ancora incontrato per vari motivi i favori del mercato. Richard Greenfield, analista Pali Research, confessa a Reuters: «non solo le vendite di musica digitale per il 2006 hanno deluso le nostre previsioni, ma più preoccupante è stato il rallentamento della crescita nel quarto trimestre […] Siamo preoccupati del fatto che le vendite di musica digitale non riescano a raggiungere il 40% di crescita nel 2007».

La bilancia ha sui propri piatti due dati diversi. Da una parte v’è il calo degli album venduti, dai 619 milioni del 2005 ai 588 milioni del 2006; dall’altra v’è l’aumento della musica digitale, passata da 582 milioni di brani del 2005 a 1.19 miliardi di unità nel 2006 (+65%). Su questo equilibrio si determinerà il futuro del settore, forse. Il condizionale rimane d’obbligo nel momento in cui l’istituto del DRM rimane in discussione, osteggiato da molti e poco amato dagli altri. La transizione in atto, insomma, potrebbe non aver raggiunto già una forma definitiva e la rivoluzione musicale in atto potrebbe avere ancora molte cose nuove da dire.

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