I giornali parlano dei blog

Dopo mesi e mesi passati a criticare il giornalismo sui blog, finalmente un giornale che critica aspramente i blog ed i blogger. E li definisce in qualche modo 'tromboni', perchè raccolgono idee senza proporne, perchè sono una 'pancia che strilla e rutta'
Dopo mesi e mesi passati a criticare il giornalismo sui blog, finalmente un giornale che critica aspramente i blog ed i blogger. E li definisce in qualche modo 'tromboni', perchè raccolgono idee senza proporne, perchè sono una 'pancia che strilla e rutta'

«La bufala della democrazia blogosferica». «La rete? Tempo rubato allo shopping». «Il trombonismo internettiano, che palle!». Maurizio Crippa, Annalena Benini e Stefano Di Michele. Sono questi i titoli e le firme che iniziano e concludono l’attacco frontale de Il Foglio alla blogosfera. Il che è per certi versi una cosa nuova: non sono solo più solo i blog a parlare del giornalismo, ma succede anche il contrario.

La bufala della democrazia blogosferica
Il pezzo parte da una analisi di Mantellini, complimentandosi per la presa di distanza dalla presunta simbiosi tra Grillo e la blogosfera (citando pomposamente il cartaceo “Europa”, ma non spiegando invece, goffamente, come lo stesso pezzo fosse stato originariamente tratto da un blog), ma contestando pesantemente il concetto di intelligenza connettiva che il web esprime: «se la rete ha un difetto, inevitabilmente amplificato nella blogsfera, è al contrario quello di favorire l’appiattimento del sapere. Perchè il mezzo impedisce (tende a impedire) la gerarchizzazione delle informazioni, delle conoscenze. Grillo sogna un mondo senza giornalisti (e perchè non senza bibliotecari?). Ma i giornalisti sono quelli che, vivaddio, magari evitano anche che qualsiasi fesseria vada in pagina, “in-formano” gli eventi, verificano (dovrebbero) le fonti. Il blog abolisce virtualmente ogni gestore, ogni staff che “processi” la notizia». I blogger, insomma, sono «saggi liofilizzati e pronti all’uso»: «senza filtri, senza gerarchia, dite la vostra ho detto la mia».

La rete? Tempo rubato allo shopping
«Ci sono certi blog meravigliosi, di solito di femmine, dove si fa altissimo pettegolezzo sentimentale: l’amore le corna e le altre sciocchezze […] Una condivisione strepitosa di segreti, il diario con il lucchetto senza più il lucchetto e a disposizione del mondo intero […] Il resto è una noia bestiale, tempo rubato allo shopping, al divano, al bucato, e alle ragazze. È la portinaia che smette di parlare alle spalle e comincia a inventarsi sermoni sul mondo incollando frasi di Michael Moore […] poi pretende che il mondo le dia ragione e anzi dica: wow, ma dove ti eri nascosta, tu meriti molto più di un blog».

Il trombonismo internettiano, che palle!
«Dio stramaledica i blog. Un bel fulmine celeste su questa nuova forma della politica buzzurra, della chiacchiera a vuoto, della pancia che strilla e rutta. Un processo degenerativo, il luogo dove la lisciata di pelo telematica si mischia con una nuova presunzione di rappresentanza delle masse. […] Non propongono idee, le raccolgono; non danno la linea, fanno eco».

Hanno ragione
Si, gli autori di questi tre pezzi hanno ragione. Ognuno, a modo suo, merita il dovuto rispetto. Maurizio Crippa, ad esempio, ha ragione a sottolineare il fatto che Grillo non partecipa alla blogosfera se non in direzione unilaterale: meccanismo strano, distorto e più volte criticato proprio dalla blogosfera stessa. E ha ragione anche quando dice che i blog distruggono le gerarchie. Strano, però, che certi concetti abbiano ormai fatto il loro tempo e che su un giornale ci siano arrivati con ritardo abissale. Strano il fatto che solo ora si noti la decentralizzazione del web e la sua fenomenale capacità orizzontale di interconnettere le persone facendo emergere non tanto la persona, quanto l’idea. L’articolo elenca una lunga serie di verità, la cosa strana è che se ne dia accezione negativa: l’appiattimento intravisto nei blog, in linea teorica, dovrebbe permettere al giornalismo di marcare una differenza, di emergere dal rumore, di dettare l’opinione con maggior incisività. Non sono dunque i fatti ad essere inquinati, ma è la lettura che gliene si da. Lettura, comunque, a suo modo rispettabile. La prossima puntata si chiamerà “autoreferenzialità”: finchè i “giornalisti” (se ne intenda il significato a latere) non se ne accorgono, però, forse è meglio non suggerirgli la cosa.

Ha ragione anche Annalena Benini: ci sono certi blog meravigliosi nel loro accento confidenziale e nei loro contenuti intimi. Strano, però, che certi (certe) blogger siano considerati non degni di una opinione. Strano che un’opinione sia valida solo se espressa sulla carta stampata e solo da qualcuno: il concetto sembra essere arcaico, ormai smontato dalla storia. Forse Tim Berners-Lee ha ragione quando dice che ci sia un certo ostracismo nei confronti delle donne “geek”, e forse Berners-Lee non sbaglia nel sottolineare come tale ostracismo non sia solo maschile, ma anche femminile. La donna che maneggia i bit è vista in malo modo ed in questo articolo è preferita la donna che parla di gossip, lavora in cucina e sussurra i nomi di quanti portano le mutande con i rinforzi. Un punto di vista strano, ma a suo modo rispettabile.

Ha ragione, infine, anche Stefano Di Michele: strilla e urla della blogosfera hanno fatto il loro tempo. La lisciata di pelo telematica non può più essere una discriminante e le campagne politiche praticate da finti blog non possono più imbrogliare nessuno. Vero. Infatti in molti sul web hanno criticato i primi passi di Di Pietro, in molti stanno crocifiggendo Mastella, in molti hanno deriso il blog di Prodi, in molti hanno criticato l’atteggiamento di Gentiloni ed in tanti hanno svergognato i passi falsi di altri politici improvvisamente imprestatisi alla blogosfera. Ora queste opinioni da blog sono rimbalzate su un giornale, ma gli autori originali di queste critiche sono stati definiti “tromboni” che alle sfere celesti andrebbero “stramaledetti”. Un punto di vista di non immediata lettura (promosse le critiche, bocciati i critici), ma suo modo rispettabile.

Le opinioni espresse in questi tre articoli sono basati su fatti reali letti da autori evidentemente non avvezzi al web ed alle sue dinamiche. Dei blog vedono i rutti e della blogosfera femminile leggono il gossip, ma al tempo stesso evidenziano con merito le distorsioni di uno strumento ancora molto immaturo e pieno di difetti. Rimane una sensazione: in queste letture c’è un po’ di timore, qualcosa che guarda al “V-day dell’informazione” come all’incarnazione delle minacce della blogosfera, qualcosa che vuole smontare un nemico prima di doverlo affrontare.

Non si vuole concludere con una critica, però. Si volevano solo segnalare i tre articoli agli utenti “internettiani”, quelli che magari “Il Foglio” non lo leggono abitualmente, quelli che la pagina in questione oppone agli «italiani reali». Ora che tutti sanno, potranno commentare. Ognuno sul proprio blog, ovvio.

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