Avere canzoni pirata non è violare il copyright

Una sentenza in una strana storia legale che vede come al solito la RIAA contro un privato scaricatore ha dimostrato che la semplice detenzione di materiale pirata senza prove di distribuzione non costituisce materia per una condanna
Una sentenza in una strana storia legale che vede come al solito la RIAA contro un privato scaricatore ha dimostrato che la semplice detenzione di materiale pirata senza prove di distribuzione non costituisce materia per una condanna

Tenere musica scaricata sul proprio computer in sè non costituisce reato. Lo dicono da tempo in molti ma ora a sostenerlo è un giudice che in una causa (tra le tante in cui la Recording Industry Association of America ha citato un privato scaricatore) ha deciso che va provato che quella musica è stata ridistribuita.

La questione, si sa, è molto complessa e ogni causa fa storia a sè, nel senso che benchè ci siano i “precedenti” ogni giudice interpreta a modo suo una normativa che non è chiarissima in materia. Accade così che nella causa che vede Chris Brennan contro la RIAA il giudice non abbia voluto procedere alla condanna d’ufficio contro l’imputato che non si era presentato.

Per un disguido, infatti, Brennan, citato un anno fa dalla RIAA, non ha ricevuto correttamente la missiva che lo avvertiva di presentarsi per difendersi dall’accusa di possesso illegale di 2.017 canzoni ottenute attraverso KaZaa. Quando in aula non si sono presentati nè imputato nè difesa, l’accusa ha chiesto la pena default ma il giudice non l’ha accordata perchè il reato come era stato denunciato dalla RIAA non prevedeva alcuna pena standard.

L’associazione che riunisce le etichette musicali infatti aveva denunciato il ragazzo per detenzione di materiale piratato ma non aveva alcuna prova che poi i brani in questione fossero stati ridistribuiti da Brennan, cosa che secondo la corte è il vero reato.

Molto della decisione del giudice è stata proprio dovuta all’incertezza della materia e al fatto che in altre cause simili si è giunti a verdetti spesso divergenti, confermando come non sia possibile applicare una pena d’ufficio e i metodi di indagine della RIAA non sarebbero sufficienti.

Proprio i metodi basati sul tracciamento degli indirizzi IP sono stati al centro di un forte dibattito negli ultimi giorni per la loro legittimità. Ma la RIAA non si ferma e ha già inviato 401 lettere di accusa a 12 università solo nell’ultima settimana. Si tratta di avvisi di citazione tesi a spaventare e indurre al rapido patteggiamento un target (gli studenti) dotato di poco tempo e pochi soldi per sostenere una causa legale contro l’importante associazione dei discografici.

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