Google boccia le risoluzioni contro la censura

La riunione degli azionisti di Google ha bocciato alcune proposte tese a intensificare l'impegno della società contro la censura online attuata in numerosi paesi. Benché favorevole all'iniziativa, Sergey Brin si è astenuto dalla votazione
La riunione degli azionisti di Google ha bocciato alcune proposte tese a intensificare l'impegno della società contro la censura online attuata in numerosi paesi. Benché favorevole all'iniziativa, Sergey Brin si è astenuto dalla votazione

Censura in Rete e possibilità di libero accesso alle informazioni online sono state al centro della recente riunione degli azionisti di Google. Nonostante le forti pressioni esterne da parte di numerose associazioni per i diritti umani, e l’astensione di alcuni componenti del consiglio di amministrazione, il board di Mountain View ha bocciato alcune proposte tese a responsabilizzare il suo operato in quelle aree del mondo in cui il Web è sottoposto a costanti censure. Nel corso delle votazioni, Sergey Brin, cofondatore e responsabile dell’area tecnologica di Google, ha preferito astenersi in attesa di soluzioni maggiormente condivisibili.

Brin ha, infatti, dichiarato di comprendere e appoggiare le motivazioni delle mozioni, ma di non condividerne pienamente i toni e la formulazione. In maniera implicita e molto diplomatica, il cofondatore di Google ha dunque espresso la propria contrarietà alle ultime posizioni del board di Mountain View, apparentemente interessato a tutelare i propri interessi più che quelli degli utenti nei paesi in cui l’accesso a Internet è fortemente limitato dalla censura. Ormai da tempo, numerosi osservatori e associazioni per i diritti umani criticano il comportamento di Google e delle numerose altre Web company che, pur di mantenere le loro attività, scendono spesso a compromessi poco trasparenti con i governi locali.

Intenzionata a rimanere nel crescente e sempre più fecondo mercato cinese, la società di Mountain View si è – per esempio – piegata alle istanze del governo di Pechino, offrendo una versione del proprio motore di ricerca limitata a quei siti web graditi alla censura del paese asiatico. Alle pesanti critiche ricevute, il board di Google si è sempre difeso ricordando come una presenza limitata e parziale dei propri servizi in Cina costituisca pur sempre un’opportunità aggiuntiva per gli utenti cinesi, che altrimenti potrebbero fare affidamento su un numero ancor più ridotto di alternative.

Una delle mozioni bocciate dal board, e proposta da un membro dell’associazione Amnesty International, proponeva l’istituzione di una sorta di codice di autoregolamentazione per Google orientato a proteggere la libertà di accesso alle informazioni del Web. Tra i punti cardine della proposta figuravano temi molti importanti e di stringente attualità come la resistenza alle istanze di censura formulate da società e istituzioni, la comunicazione delle medesime richieste agli utenti e l’indisponibilità a fornire i dati raccolti sugli utenti ai governi dei paesi che praticano sistematicamente la censura nel Web.

Ricordando come siano già in programma più iniziative per elaborare alcune linee guida sui diritti umani, nel corso della riunione degli azionisti i dirigenti di Google hanno ribadito l’impegno della società per una maggiore apertura del Web in quei paesi ancora soggetti a forti controlli da parte della censura. La convivenza del motore di ricerca di Mountain View con il governo di Pechino, per esempio, si è dimostrata molto più complicata del previsto, rallentando non poco l’ascesa di Google nel paese asiatico. Sempre secondo i manager della società, una maggiore libertà online in Cina si tradurrebbe in un vantaggio anche per le sorti di “big G” e sarebbe dunque altamente auspicabile. Il voto contrario alle mozioni e la posizione espressa dal board non ha comunque pienamente convinto parte degli azionisti, ancora in attesa di azioni concrete da parte del motore di ricerca.

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