La Cina spierà i giornalisti anche in hotel

Sono molto pesanti le accuse lanciate dal senatore degli Stati Uniti Sam Brownback, secondo il quale il governo di Pechino avrebbe approntato un sistema di controllo negli hotel per verificare le azioni compiute in Rete dai giornalisti delle Olimpiadi
Sono molto pesanti le accuse lanciate dal senatore degli Stati Uniti Sam Brownback, secondo il quale il governo di Pechino avrebbe approntato un sistema di controllo negli hotel per verificare le azioni compiute in Rete dai giornalisti delle Olimpiadi

Non si placano le polemiche intorno agli ormai imminenti giochi olimpici di Pechino 2008 e alla condotta delle istituzioni cinesi nel gestire l’importante evento sportivo. Dopo le numerose critiche ricevute per la decisione di limitare sensibilmente l’accesso alla Rete anche nel periodo dei Giochi, nuove pesanti accuse giungono per il governo di Pechino direttamente dagli Stati Uniti. A rilanciare l’attenzione, già molto alta, sulle discusse Olimpiadi in Cina ci ha pensato il senatore repubblicano del Kansas, Samuel Dale Brownback, con una richiesta formale al governo cinese per sospendere i suoi piani tesi a spiare e censurare gli ospiti e i giornalisti che si troveranno nel paese asiatico durante i Giochi.

Secondo il senatore, infatti, il governo di Pechino sarebbe intenzionato non solo a censurare numerosi siti web, ma anche a spiare attraverso la Rete gli ospiti negli hotel della Cina. Una accusa grave, ma apparentemente circostanziata: «È in contrasto con lo spirito dei giochi olimpici l’intenzione del governo cinese di spiare i giornalisti e gli ospiti degli hotel. La comunità internazionale dovrebbe sentirsi indignata all’idea che i giornalisti, gli attivisti per i diritti umani e gli ospiti in generale potranno essere sottoposti a pratiche di intelligence invasive da parte del Public Security Bureau della Cina. Questo è semplicemente un altro modo in cui il governo cinese viola sistematicamente le libertà e i basilari diritti umani».

Stando alle informazioni raccolte da Brownback, e rese esplicite dalla sua interrogazione, il governo di Pechino non si sarebbe unicamente premurato di limitare l’accesso al Web, ma avrebbe anche implementato una vera e propria Rete per monitorare l’operato dei giornalisti e dei media accorsi in Cina per raccontare l’evento olimpico. Gli hotel di proprietà delle multinazionali sarebbero stati obbligati a installare particolari equipaggiamenti per consentire al Public Security Bureau di monitorare i flussi informativi e le azioni compiute in Rete, con un sistema gestito in remoto tale da controllare le migliaia di giornalisti e ospiti presenti nel paese nel mese di agosto. Uno scenario da spy-story, tale da indurre le istituzioni cinesi a rispondere alle pesanti accuse lanciate da Brownback.

A distanza di poche ore dalle dichiarazioni del sentore degli Stati Uniti, il ministro per gli affari esteri della Cina ha smentito lo scenario prospettato, pur non fornendo ulteriori dettagli sui sistemi di controllo e sicurezza approntati negli hotel del paese asiatico. «Queste accuse sono ingiuste» ha dichiarato il ministro Liu Jianchao, per poi aggiungere: «La privacy è rispettata e garantita in Cina. Le misure di sicurezza adottate negli hotel cinesi e in altri luoghi pubblici non vanno oltre le misure generalmente utilizzate nel contesto internazionale». Una dichiarazione tesa a smontare la polemica, ma scevra da ulteriori informazioni sulla possibilità di un effettivo controllo da parte del governo cinese sulle attività di chi si troverà in Cina per partecipare all’evento olimpico.

Al momento, il senatore Brownback ha preferito non rispondere alla versione fornita dal ministro degli esteri cinese, né tanto meno ha fornito ulteriori dettagli su una presunta lista in suo possesso con i nomi degli hotel cui sarebbero giunte le richieste per l’installazione dei sistemi di controllo. Il mistero sembra dunque essere ancora lontano da una completa soluzione.

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