YouTube, i video saranno presto in vendita

YouTube ha compiuto il primo passo: sarà presto possibile scaricare i video prima disponibili soltanto in streaming. Il secondo passo sarà nella vendita degli stessi con pagamenti tramite Google Checkout. Inizia così la monetizzazione vera di YouTube
YouTube ha compiuto il primo passo: sarà presto possibile scaricare i video prima disponibili soltanto in streaming. Il secondo passo sarà nella vendita degli stessi con pagamenti tramite Google Checkout. Inizia così la monetizzazione vera di YouTube

YouTube non sarà più soltanto un sito di streaming. Né, tantomeno, una semplice repository di video gratuiti. Costretto dalla congiuntura economica, YouTube ha dovuto accelerare i propri piani per giungere ai primi veri esperimenti relativi alla monetizzazione dei video, il tutto al di fuori di un contesto pubblicitario che ancora non ha restituito i risultati auspicati. YouTube, ora, permetterà infatti anche il download dei video. E non tutti saranno download gratuiti.

L’annuncio avviene per firma di Thai Tran sul blog ufficiale del servizio: «YouTube Goes Offline». Il primo passo è quello del download dei contenuti, che i partner potranno rilasciare su base Creative Commons secondo le proprie esigenze. Tale opzione va a sostituire tutti quei servizi terzi sorti attorno al portale, servizi con cui si rende possibile il download del filmato anche in assenza di un link specifico. La funzione diviene ora parte integrante del servizio, quando espressamente autorizzata. E, anche in questo caso su specifica richiesta, il video potrà presto anche essere messo in vendita con pagamento da effettuarsi tramite Google Checkout.

Tre nomi sono indicati tra i primi partner ad aver aderito in questa fase iniziale: khanacademy, householdhacker e pogobat. A questi nomi si aggiunge tutta una serie di entità ulteriori le quali stanno portando online le lezioni accademiche depositate sui canali di Stanford, Duke, UC Berkeley, UCLA e UCTV. Alcuni esempi di video scaricabili qui e qui.

Secondo quanto spiegato sull’Help Center di YouTube, al momento i download sono possibili in formato MP4 (riproducibile con QuickTime o VLC) con codec video H.264 e codec audio AAC. I file sono al momento DRM-Free, ma trattasi comunque di una fase di test iniziale a cui ancora deve far capo l’introduzione dei pagamenti (una speciale anteprima che aveva funzionato da alpha test, peraltro, si era già segnalata nelle settimane scorse in occasione dell’insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca).

Il prezzo che sembra delinearsi come primo standard introduttivo potrebbe essere quello dei 99 centesimi per singolo filmato, prezzo che in qualche modo rende equipollente il valore di un video da YouTube con quello di un brano musicale da iTunes. Tramite “My Purchase” sarà possibile avere uno storico dei propri acquisti.

Ma perchè acquistare, quando è possibile avere gratis?

Perchè acquistare, quando è possibile avere gratis? Sono vari, infatti, i software o i servizi online che già prima di oggi permettevano il download dei filmati per conservarli offline. Victoria Katsarou, portavoce Google, puntualizza il fatto che, innanzitutto, scaricare i filmati con strumenti terzi è qualcosa che va al di fuori dei termini d’uso di YouTube, configurando pertanto un illecito; Google in ogni caso si starebbe azionando per porre in essere ogni possibile alchimia tecnica che possa scoraggiare il download al di fuori dei termini indicati dall’autore ed imposti dalla casa madre.

L’iniziativa “YouTube goes offline”, al momento del tutto acerba, potrebbe restituire un nuovo profilo a YouTube: se la repository diventasse anche un video store, Google avrebbe finalmente trovato il modo di monetizzare il lauto investimento profuso in YouTube. Per vendere i filmati ove prima erano gratuiti, però, occorrerà trovare un valore aggiunto che l’utenza sia disposta a pagare. C’è da ipotizzarsi, pertanto, la nascita di format originali, la disponibilità di filmati di particolare valore contenutistico, oppure un semplice prezzario per i contenuti ad alta definizione fruibili su schermi differenti dalla limitata visione su monitor.

L’aspetto che più di ogni altro potrebbe diventare un’arma a doppio taglio è nel coinvolgimento di Google Checkout nel progetto. Il sistema di pagamenti di Google, infatti, ha vissuto crescita zero nel 2008 accumulando un risicato 1% al cospetto di un comparto in crescita complessiva dell’11%. PayPal assomma ora il 25% del mercato, Bill Me Later il 26% e Google Checkout l’11% (fonte: Rosetta). Il servizio Google, in particolare, sembra soddisfare gli utenti finali ma non i venditori, i quali preferiscono adottare sistemi più datati e sicuri e solo nel 7% dei casi hanno acconsentito ad inserire anche Google Checkout tra le proprie opzioni.

PayPal e Bill Me Later, insomma, sembrano ormai irraggiungibili determinando una sorta di standard nel quale Google Checkout non sembra riuscire a rientrare. Quella di YouTube potrebbe però essere una scelta estrema importante: se il servizio di vendita riuscisse a sfondare, Checkout potrebbe giovare del traino per farsi conoscere ed apprezzare, facendo leva sul brand Google e raccogliendo valore da vendite a basso costo. In caso contrario diventerebbe un collo di bottiglia insopportabile e Google sarebbe costretta probabilmente ad inchinarsi per la seconda volta ad eBay (dopo che già Google Base ha fallito la propria rincorsa al marketplace).

Il passo successivo per YouTube non può che essere quello dei contenuti cinematografici. La distribuzione di film a pagamento potrebbe essere il punto di svolta tanto cercato. Ancora molti, però, gli ostacoli da affrontare: la sicurezza della protezione, l’affidabilità delle transazioni, l’abitudine a vedere YouTube come un posto in cui acquistare e non soltanto fruire gratuitamente. C’è ancora molta strada da fare, ma il primo passo è stato compiuto: d’ora in poi YouTube sarà qualcosa di più, e di diverso, rispetto al servizio che si è imparato a conoscere in questi anni. E gli indizi, peraltro, sono del tutto evidenti: le pubblicità compaiono nelle pagine e nei video, le colonne sonore sono scomparse sotto i colpi delle case discografiche, il formato è diventato widescreen: piccole mutazioni quotidiane, ma definitive e sostanziali.

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