In difesa di Francesco Alberoni

C'è solo un modo per attaccare con senno l'ultimo articolo di Francesco Alberoni contro i giovani ed il loro rapporto con il Web: partire dal passato, da ciò che Alberoni ha scritto fino a poco tempo prima. Quattro pagine, si spera, senza foglia di fico
C'è solo un modo per attaccare con senno l'ultimo articolo di Francesco Alberoni contro i giovani ed il loro rapporto con il Web: partire dal passato, da ciò che Alberoni ha scritto fino a poco tempo prima. Quattro pagine, si spera, senza foglia di fico

Potremmo sparare sulla Croce Rossa? No, nemmeno in questo tempo di relativismo e provvisorietà certi valori rimangono consolidati, fermi, assoluti. Ed è sulla base di queste certezze che vogliamo difendere Francesco Alberoni, giornalista del Corriere.it. La sua colpa è quella di aver prodotto un articolo quantomeno opinabile. Nel suo stile, sviluppa una verità e la porta a termine senza giri di parole: una verità nuda e senza foglie di fico. Se Alberoni è in queste ore al centro delle attenzioni, è perché il suo articolo si scaglia con violenza contro la Rete. Ma noi Alberoni lo difenderemo. Partendo dall’inizio, però, con un ragionamento che parte da lontano. Perché il suo articolo no, quello è davvero indifendibile. Ma non ci arriveremo per partito preso: quattro paginette, per chi ha voglia di fare un piccolo percorso che parte dall’ormai lontano 2003.

Noi giuovani (qualunque sia l’accezione che se ne si vuol dare), quando cerchiamo qualcosa, lo cerchiamo su Internet. La biblioteca è lontana e scomoda. Sperando non ce ne si faccia una colpa, tentiamo di trovare qui quel che andiamo cercando. Così è bastata la query “francesco alberoni” per trovare, al netto delle ultime critiche, tutta una serie di pagine che giungono dal passato. Innanzitutto il sito ufficiale, da cui è facile partire per trovare nuovi contenuti relativi agli articoli più datati. Poi v’è addirittura un fans club su Facebook, e questo non te lo aspetti per un autore che si è appena scagliato contro la rete, le chat ed i social network. Quindi una SERP infinita, con molti spunti di interesse e molte vecchie critiche che vecchie verità nude avevano sollecitato.

Già altre volte Alberoni si era occupato della Rete. Nel farlo, ha portato avanti una filosofia che è parzialmente mutata nel tempo, ma che ha confermato sostanzialmente il suo impianto di sempre. Partendo dal 19 maggio 2003, dove un vecchio articolo di Alberoni sembra precorrere linearmente un post di pochi giorni fa secondo cui “La vita è tutta un ping”: «noi esistiamo perché gli altri ci vedono, di conoscono, ci prendono in considerazione. Il bambino fa i capricci per “esistere” agli occhi dei genitori. […] Questo desiderio di valere mediante l’apparire è la vanità. Alcuni cercano la vicinanza delle celebrità, altri si infilano in tutte le manifestazioni, altri fanno collezione di titoli, medaglie, cariche. Oggi la gente disponde di una scorciatoia: la televisione […] E, in mancanza della televisione, desiderano scrivere o apparire sul giornale». Era appena il 2003. A distanza di ulteriori 6 anni, può essere utile rileggere la chiosa pensando alla blogosfera: «D’altronde, qualsiasi cosa dicano, non rischiano nulla perché […] tutto diventa opinione, e un’opinione vale un’altra». Sì, è una verità scomoda. È una verità nuda, senza foglia di fico. E per questo motivo meritevole.

Un salto temporale e andiamo al 2007, quando si propone il tema dei valori.

21 maggio 2007. Nell’articolo “Il ritorno dello scontro tra credenti e non credenti” Francesco Alberoni lancia una ventata di ottimismo sull’epoca contemporanea. «“Non ci sono più valori” è una frase che si sente ripetere in continuazione anche in tv. Non è vero. La nostra società ha un grande corpo centrale di valori condivisi da tutti, come l’amore, l’amicizia, la generosità, il coraggio, la solidarietà sociale, la giustizia, la pace, la libertà di parola, di stampa, di culto, il sapere scientifico, le libere elezioni, la cura dei vecchi, dei malati, dei bambini, l’uguaglianza di uomini e donne, il rispetto per gli animali e della natura. Inoltre è un valore che la gente non sia armata, non compia vendette sanguinose, non siano ammesse la pena di morte e la tortura. Tutti condannano l’assassinio, lo stupro, il furto, l’inganno, il plagio, il bullismo. Certo, vi è gente che questi valori non li rispetta; in tutte le società ci sono i delinquenti, i maleducati, i ribelli e chi li protegge».

In questo articolo non c’è traccia di pregiudizio. Non c’è un adulto che si sovrappone ad un giovane, non c’è un “prima” che funge da base per giudicare il “poi”. L’articolo scorre via partendo dall’assunto per cui dei punti fermi vi siano ancora, e che nulla sia sostanzialmente in grado di intaccarli. L’amicizia puoi nasconderla, ma non fermarla. E così per la giustizia, perché la si deve continuamente cercare ma non per questo ci si trova a fare passi indietro.

29 Dicembre 2008. Alberoni compie un passo ulteriore e urla al futuro come alla migliore delle alternative. Il passato non era immune da colpe e la storia non è vergine: «Perché nel mondo delle Mille e una notte c’è un dispotismo spaventoso, il sovrano si prende tutte le vergini e poi le fa uccidere per impedire che facciano all’amore con un altro, e si tagliano teste, mani, piedi, si tortura per nulla. E non voglio tornare indietro nemmeno al Colosseo dove il popolo gode a vedere i gladiatori che si sgozzano, o ai cinquemila seguaci di Spartaco crocifissi lungo la via Appia. Questo tipo di gloria non ha nulla da insegnarci. Come non l’hanno le leggi che condannavano l’adultera alla lapidazione o le pratiche africane che mutilano il clitoride delle donne per impedire loro di godere riservando il piacere ai maschi. No, non voglio tornare indietro nemmeno al cristianesimo garantito dall’Inquisizione, all’orrore dei roghi degli eretici. Né alla rivoluzione sostenuta dalla ghigliottina o alle navi dei mercanti di schiavi. Nessuna di queste epoche, presa nel suo complesso, può esserci modello».

Poi il passo definitivo verso il 2009: «Sono questi i solidi valori del passato che voi nostalgici rimpiangete? O sono il bombardamento di Dresda o la bomba atomica di Hiroshima o i massacri della rivoluzione culturale di Mao? Oppure rivolete la miseria dei contadini del Meridione, le loro donne con dieci figli e il prolasso dell’utero? A quali antiche sicurezze vi aggrappate? Io non credo in queste sicurezze, non voglio tornare indietro. Preferisco quest’epoca criticata, condannata, in cui però non c’è la pena di morte, non si perseguita nessuno per la sua razza o la sua religione, in cui si danno cure mediche a tutti, pensioni ai vecchi, dove chi vuole amarsi si ama e chi vuol separarsi si separa e dove si cerca di non far soffrire nessuno, nemmeno gli animali. Un’epoca forse un po’ cialtrona, superficiale, leggera, disordinata, ma più tollerante, più mite, più comprensiva e, in definitiva, perdonatemi, più civile».

23 febbraio 2009. Qualcosa è evidentemente cambiato. Le disamine di Francesco Alberoni erano in precedenza difendibili e per gran parte condivisibili. L’ultimo attacco no: c’è qualcosa di profondamente diverso stavolta. C’è un sussulto, o forse una improvvisa rassegnazione.

«Parto da una notizia che ho appena avuto da due giornalisti che hanno intervistato numerosi adolescenti milanesi. Alcuni di loro hanno incominciato a usare l’eroina, ma non se la iniettano, la fumano. Dicono che gli dà un grande rilassamento, una grande serenità. Poi nel weekend, quando vogliono scatenarsi tutta la notte, passano alla coca. La coca li fa sentire onnipotenti. Come se le procurano? “In giro ne trovi quanta ne vuoi, anche su Internet e costa poco”. ».
Nel primo paragrafo l’accostamento tra “internet” e “cocaina” suscita cattivi pensieri. Poche righe più giù verranno confermati in toto.

«Questi adolescenti quando sono a scuola, in casa, quando si trovano con gli adulti non ascoltano. Comunicano solo all’interno del loro universo adolescenziale con mezzi che gli adulti non possono controllare: sms, Internet, chat, YouTube, altre web-tribù. Si incontrano di notte, nelle discoteche e nelle feste. Coi genitori recitano, e questi non sanno nulla della loro vita reale. Considerano i docenti dei falliti che insegnano cose inutili e guardano con compatimento gli psicologi. Fra loro parlano poco, piuttosto chattano e ascoltano musica».
Il secondo paragrafo parte da un preconcetto totalmente deviante secondo cui vi sarebbe un mondo giusto, quello fatto dalle istituzioni e dai parametri culturali degli adulti, ed un mondo chiuso e pericoloso, fatto di ragazzini che parlano su strumenti “non controllabili”. La verità è negli psicologi ed in chi detiene il controllo, nei docenti e nelle istituzioni, non certo nelle “tribù”: il pregiudizio diventa sentenza, il tutto in poche righe di ragionamento che mai scavano un minimo sotto la superficie.

«I loro modelli sono i personaggi dello spettacolo, chi va a Il Grande fratello, i calciatori miliardari, i bulli, e perfino chi si distingue su YouTube con qualche filmato da brivido. La separazione fra il mondo giovanile e adulto è incominciato negli anni ’60 del secolo scorso con i figli dei fiori, il movimento studentesco, la rivoluzione sessuale. Molti di questi giovani hanno avuto problemi, ma perlomeno avevano radici e ideali. La nuova generazione non ha radici, non ha fondamenti etici, non ha cultura né classica, né politica».
Nel terzo paragrafo i “giovani” e gli “adulti” vestono definitivamente le vesti del “male” e del “bene”. Il ragionamento, pur se basato su fatti universalmente condivisibili, ignora il fatto che, nei secoli dei secoli, si cresce con gli strumenti prodotti dalla generazione precedente, ed ogni colpa è affibbiata invece al presente, come per un peccato originale che improvvisamente nasce dallo strumento: la Rete.

«Alcuni pensano che, proprio perché è così vuota, sarà più aperta, creativa. È una illusione: senza radici, senza un rapporto reale e drammatico con la vita, senza capacità di confrontarsi e di riflettere e con l’illusione di essere perfetti, non si crea niente».
Chissà, forse questo è vero. Purtroppo, però, il ragionamento si basa su qualcosa di profondamente sbagliato, come si evince dalla conclusione.

« A volte mi domando se a questi adolescenti non farebbe bene un periodo di moratoria, in cui si chiudano loro YouTube, le chat, le discoteche, si limiti l’uso di Internet e dei cellulari per consentire loro di ricominciare a parlare, di riprendere contatto con le altre generazioni, con i giornali e i libri. Una moratoria periodica di due mesi l’anno, una cura disintossicante.».
Detto in altri termini: siano i giovani a cambiare. Abbandonino i loro strumenti, albero del male. Tornino a leggere i giornali ed a consumare libri. Il cartaceo torna ad essere depositario del sapere, mentre la rete è solo chat e frivolezza. Condanna, senza appello.

Due pagine le abbiamo consumate per difendere Alberoni. Una per attaccare il suo ultimo vituperio. Ma non voleva essere un semplice esercizio di stile: c’è un motivo preciso nella nostra disamina, perché una pagina pubblicata su un giornale di caratura nazionale non è solo un po’ di inchiostro su un foglio di carta, ma si fa cultura ogni volta che qualcuno legge ed assorbe il ragionamento.

Quattro pagine non vogliono essere un semplice esercizio di stile. Sono una domanda aperta lanciata sul Web, dove Francesco Alberoni ha un sito personale e addirittura un fans club. La Rete dà vita ai suoi scritti, li moltiplica, li richiama, li commenta e li estende. La voce di una penna assurge a vita nuova, e chiunque cerchi può trovare. Lo strumento non ha colpe, né meriti: semplicemente ripropone, con le proprie dinamiche e le proprie caratteristiche di “luogo” oltre che di canale.

Era un piacere leggere l’Eden passato di Alberoni. C’è il timore, però, che si sia mangiata la mela. L’ultimo articolo sembra viziato dal peccato originale del preconcetto. La rete, in un flusso scoordinato di commenti, lancerà il proprio appello all’idea di Alberoni perché il tutto non passi innocentemente ai motori di ricerca come una verità conclamata e senza contraddittorio. Le nostre pagine sono un contributo a questo flusso, al rifiuto di una teoria viziata dal giudizio che ignora la neutralità relativa del canale.

Non avremmo scritto questo pezzo, se non ci fosse un fondato ottimismo nell’intelligenza e nella capacità di fare un passo indietro. Perché siamo convinti che, in questo caso preciso, un passo indietro equivale a due passi avanti. C’è bisogno di tutti per far crescere bene la Rete: dei giovani come degli psicologi, dei sociologi come dei docenti, delle chat come dei libri stampati. E c’è bisogno anche di Francesco Alberoni. La Rete rifletterà il nostro modello di mondo, sarà una proiezione della società che immaginiamo: immaginare un ponte generazionale ed una comunione di intenti è il modo migliore per parlare tutti la stessa lingua e remare tutti nella stessa direzione.

Vero, signor Alberoni?

La risposta, peraltro, è nelle parole di Alberoni stesso. 28 maggio 2007: «gli adolescenti comunicano fra di loro attraverso un circuito completamente diverso da quello adulto. Un circuito costituito da blog, chat e mail, messaggi sui cellulari, che funziona ininterrottamente a casa come a scuola, con codici spesso difficilmente comprensibili. Sia ben chiaro: i giovani hanno sempre avuto la tendenza a riunirsi in gruppi, a costituire una società a parte, un proprio mondo con propri idoli, un proprio abbigliamento, propri valori, un proprio gergo. Essi anticipano il futuro e perciò devono differenziarsi dagli adulti, emanciparsi da loro. […] Oggi le separazione è molto diminuita. Nel campo artistico, nel cinema, nella musica e in TV, le generazioni sono mescolate e, nelle letteratura i ragazzi hanno riscoperto l’amore romantico grazie a Moccia e ai sui best sellers come Tre metri sopra il cielo. Ma la Lombardo ci ha anche mostrato che nelle rete di rapporti e di comunicazione si incontrano, delle aree pericolose. […] Sono casi estremi, ma che però ci ricordano che, quando i ragazzi vengono lasciati completamente soli, corrono sempre il pericolo di finire vittima di branchi dominati dagli individui più spregiudicati e violenti».

Ineccepibile. Ma per non lasciar solo un giovane occorre capirlo, non giudicarlo. Avvicinarvisi, non additarlo. Il merito non cambia, cambia solo il metodo.

Chi ha suscitato la domanda, insomma, ha anche partorito la risposta. Non è un caso, perché c’è solo un pezzo del puzzle di Francesco Alberoni a non funzionare. Ed è l’ultimo.

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