Telecom Italia non consegnerà gli IP degli utenti

La FAPAV ha chiesto a Telecom Italia di consegnare gli IP di quanti scambiano materiale illegale sul web, ma Telecom Italia ha risposto per le rime negando ogni addebito. La palla sembra passare alle istituzioni politiche, alle quali è proposta l'HADOPI
La FAPAV ha chiesto a Telecom Italia di consegnare gli IP di quanti scambiano materiale illegale sul web, ma Telecom Italia ha risposto per le rime negando ogni addebito. La palla sembra passare alle istituzioni politiche, alle quali è proposta l'HADOPI

La FAPAV (Federazione antipirateria audiovisiva) ha espressamente chiesto a Telecom Italia di fare un passo avanti rispetto alla legislazione italiana e, iniziando a percorrere il percorso tracciato dalla dottrina Sarkozy, produrre un elenco di indirizzi IP relativi all’utenza che macchia la propria navigazione con scambi pirata e download illegali. Sul sito ufficiale FAPAV non v’è traccia alcuna di tutto ciò, ma a riportarne cronaca completa è il sito dell’ADUC (Associazione per i Diritti di Utenti e Consumatori). Alle minacce FAPAV, però, Telecom Italia ha risposto per le rime ricacciando via dal mondo dei provider ogni responsabilità in merito.

La FAPAV spiega anche quale sarebbe il passo successivo, mettendo direttamente Telecom Italia nel mirino: «L’industria cinematografica italiana, nel caso in cui questo tipo di azioni illegali dovesse continuare a persistere, procederà alla richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subiti». La federazione torna quindi a ribadire come la pirateria sia «un fenomeno falsamente rappresentato da alcuni come “scambio culturale” […] costituisce nella realtà una vera e propria denigrazione della professionalità e della dedizione di centinaia di migliaia di persone, al punto da mettere a repentaglio l’intera industria cinematografica italiana». Adottando infine la solita equazione tale per cui 1 film scaricato equivale ad 1 film rubato (mentre le dinamiche sono ben più complesse e tali da ridurre in modo sostanziale il rapporto tra download e danno inflitto al settore), la FAPAV indica in circa 530 milioni di euro il danno subito: «Nel settore home video è già stimata una perdita di 40 milioni di euro di investimenti, ben 500 videonoleggi hanno cessato la loro attività nel solo 2008 e si è registrata una perdita del fatturato del 50% del settore del videonoleggio negli ultimi tre anni».

A questo punto la pressione va verso il Governo, ed in quest’ultima frase v’è il riassunto di tutte le influenze che l’HADOPI francese è destinata a portare anche al di qua delle Alpi: «Un anno fa il governo ha preso un impegno preciso per identificare delle soluzioni concrete alla piaga della pirateria, costituendo presso la presidenza del Consiglio il Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale. L’industria audiovisiva ribadisce la piena collaborazione con le parti interessate per sviluppare soluzioni efficaci e proporzionate nel rispetto dei diritti sanciti dalla nostra costituzione. Le soluzioni esistono e vanno attuate, come ad esempio la recente approvazione della nuova legge anti-pirateria francese che prevede un sistema di avvisi educativi e la sospensione della connessione Internet per i recidivi, oppure l’oscuramento di siti manifestamente illeciti».

Una seconda nota è firmata però Telecom Italia ed è una risposta punto per punto alle provocazioni FAPAV: «L’azienda ha sempre agito nel pieno rispetto della normativa vigente, come dimostrano numerose sentenze e pronunciamenti in materia […] La posizione di Fapav, che minaccia inoltre Telecom di una azione giudiziaria per il risarcimento dei danni, appare del tutto erronea oltre che non comprensibile. La situazione ed il contesto normativo, infatti, sono ben diversi da quelli che la Fapav assume nel momento in cui punta l’indice contro Telecom Italia ed in generale contro gli operatori di telecomunicazioni. Come recentemente ribadito anche dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee (sentenza 29 gennaio 2008, pronunciata nella causa C-275/06), il diritto comunitario consente agli Stati membri di circoscrivere all’ambito delle indagini penali o della tutela della pubblica sicurezza e della difesa nazionale il dovere di conservare e mettere a disposizione i dati sulle connessioni e il traffico generati dalle comunicazioni effettuate durante la prestazione di un servizio della società dell’informazione, escludendo la possibilità che tali dati possano essere messi a disposizione per controversie civili relative ai diritti di proprietà intellettuale».

E prosegue ancora Telecom Italia, affrontando nel merito la questione legale: «La stessa magistratura italiana [con riferimento al caso Peppermint] ha affermato che, in base ai principi vigenti nell’ordinamento comunitario, la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali è prevalente rispetto alle esigenze probatorie di un giudizio civile teso all’accertamento dell’asserita lesione del diritto di sfruttamento economico del diritto d’autore […] È stata pertanto esclusa l’applicabilità delle norme della legge sul diritto di autore in tema di identificazioni dei soggetti implicati nell’illecito prospettato dai titolari di tale diritto di sfruttamento, e ne consegue che non può ritenersi sussistere a carico del “provider (l’operatore di telecomunicazioni) alcun obbligo né possibilità di comunicazione dei dati anagrafici necessari all’identificazione degli autori delle suddette violazioni allorché i titolari del diritto d’autore agiscano in sede civile per la tutela dei propri interessi economici».

La chiusura è una difesa ulteriore, sul piano della tutela della privacy e facendo riferimento alle indicazioni specifiche provenienti dal Garante: «Anche il Garante della privacy é intervenuto nella materia, e segnatamente con un provvedimento del 28 febbraio 2008 che ha dichiarato l’illegittimità di pratiche messe in atto da soggetti privati per l’individuazione delle persone che tramite la navigazione ad Internet violavano diritti di proprietà intellettuale, ricordando che il diritto alla segretezza delle comunicazioni è limitabile solo nell’ambito di un bilanciamento con un diritto di pari grado, e quindi non per l’esercizio di un’azione civile».

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