Idee e dilemmi per il management del brand digitale

L’azienda di search marketing Covario ha svolto una ricerca relativa allo “stato di salute SEO” di un centinaio di brand. Segnalata anche dall’autorevole sito Advertising Age, tale ricerca ha confermato un problema ben noto: la difficoltà nella gestione delle parole-chiave.

Il lavoro di Covario è utile per la visione d’insieme che offre. Ecco due esempi relativi alla posizione dei brand analizzati sui motori di ricerca: Tiffany riesce a collocarsi nella prima pagina di Google per la parola-chiave “gioielleria”, ma è soltanto al ventinovesimo e al trentesimo posto per “anelli matrimoniali” e “regali di compleanno”. Harry and David, che basa il proprio business sui regali, è solo diciassettesimo nell’elenco per tale parola-chiave.

I problemi nascono sia perché molte aziende tentano di presidiare le stesse keyword, sia perché occorre curare in modo scrupoloso complesse strategie di linking. Inoltre, c’è la questione non marginale della scelta di investire su alcune parole-chiave per garantirsi visibilità e fronteggiare le mosse dei concorrenti. Secondo la stima di Craig Mac Donald, capo ufficio marketing di Covario, al fine di posizionarsi ai primi quattro posti nella pagina di ricerca Google per la parola “life insurance”, vale la pena di spendere (investire!) tra i 50 milioni e i 100 milioni di dollari l’anno. Come gestire tali stime?

Non ci sono soltanto i motori di ricerca, però. Un articolo di Alessia Maccaferri, su “nòva” del 13 maggio, propone un’interessante intervista a Pepe Möder, responsabile digital marketing & communication del gruppo Barilla. L’argomento è il management del brand digitale.

Secondo Möder, l’azienda deve saper intersecare il proprio punto di vista sui social media con quello degli utenti. Superando limiti culturali di vecchia data, l’azienda deve saper ascoltare, parlare, dialogare e abilitare: con quest’ultima espressione s’intende il comportamento dell’azienda che permette ai propri clienti di fare cose che, da soli, non sarebbero in grado di fare. Ad esempio, creare una community e garantirle incontri periodici con esperti, su temi di particolare interesse. Con ciò tuttavia, secondo Möder, non bisogna illudersi che i social network risolvano tutto, né si devono trascurare altri canali, come i cellulari, i wall digitali e i chioschi interattivi.

Dall’intervista apprendiamo che Barilla cura molto anche la formazione all’ecostistema digitale, al punto da organizzare un “Digital Day” interno due volte l’anno, invitando liberi pensatori e professionisti in grado di portare idee e case history interessanti. La nozione di “ecosistema digitale” è proposta da Möder in una presentazione disponibile sul sito Slideshare.net, da consultare anche per due immagini sulla “visione dell’azienda” e sulla “visione dell’utente” rispetto ai social media.

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