Diritto d'accesso alla Rete: l'altra proposta

Perchè non riteniamo opportuna la proposta di modifica della Costituzione per certificare il diritto di accesso alla Rete
Perchè non riteniamo opportuna la proposta di modifica della Costituzione per certificare il diritto di accesso alla Rete

La proposta di queste ore è la seguente:

Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale

Wired Italia, con l’appoggio dell’ex-Garante per la Privacy Stefano Rodotà, propone di aggiungere l’art. 21-bis alla Costituzione italiana, così che l’accesso ad Internet possa essere garantito a tutti i cittadini. Noi non siamo d’accordo. Ecco il perchè.

Un passo indietro

Appena usciti dalla campagna per il Nobel ad Internet, Wired Italia si è lanciato in una nuova iniziativa per fare in modo che Internet possa entrare direttamente nella Costituzione italiana. Sono queste campagne opinabili per principio, perchè legano un marchio ad uno scopo invalidando la verginità e le finalità della campagna stessa. Sono tuttavia iniziative del tutto legittime: questo è il marketing, volendo. Alla luce dell’esperienza precedente, però, occorre guardare a priori la nuova battaglia con un occhio differente che, mettendo da parte fuorvianti preconcetti, deve in questo caso partire con un tono di analitica diffidenza.

Quando la campagna sarà conclusa, infatti, non si potrà dire “era solo una provocazione” o voltare pagina con un “è stata solo una campagna di marketing”: per lecita che sia, una campagna di marketing non può arbitrariamente tirare in ballo la Costituzione. La Costituzione è una cosa seria ed è forse l’ultima cosa che il marketing non ha ancora inquinato.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà è una persona seria, un giurista illuminato ed un professionista intelligente: ha più volte espresso la propria seria convinzione per cui la Rete sia una grande opportunità da sfruttare e da promuovere, muovendosi spesso controtendenza rispetto ad un ambiente politico che al Web ha finora opposto soltanto grandi resistenze. In qualità di Garante per la Privacy ha agito affrontando i primi forti problemi maturati in seno ai servizi online che si appropriano dei dati personali e nel 2007 ha illustrato al Parlamento il proprio credo con un intervento di altissimo valore:

[…] stiamo passando, su scala mondiale, da un equilibrio tecnologico all’altro. Il primo, grande compito dei parlamenti, oggi, è dunque quello di cogliere questo momento, di compiere tempestivamente le scelte intelligenti necessarie perchè l’insieme delle tecnologie si risolva in un rafforzamento complessivo della democrazia

Stefano Rodotà, insomma, è il miglior garante per la proposta relativa all’art. 21-bis perchè nel suo percorso ha chiaramente dimostrato la piena consapevolezza sulle opportunità ed i pericoli che il Web è in grado di portare alla società di oggi. Tuttavia…

Garanti, ma non garanzie

Quando Wired lanciò a suo tempo la proposta “Internet for Peace” ci schierammo contro questo tipo di iniziativa non per pregiudizio nei confronti del movente, ma spinti da una repulsione logica che voleva entrare nel merito: era quella una proposta sbagliata e pericolosa che metteva in ballo la Net Neutrality in virtù di un generico appello al riconoscimento del valore del Web. Girammo così le nostre considerazioni ad uno dei nomi che appoggiarono l’iniziativa I4P, chiedendo spiegazioni. La risposta fu di questo tenore: “è vero, la proposta è sbagliata, ma la appoggiamo perchè non possiamo non appoggiare una campagna in favore di Internet. La gente non capirebbe“. Non si appoggiava la proposta nel merito, insomma, ma si voleva far parte del carrozzone promozionale perchè il non esserci sarebbe stato difficile da spiegare. Posizione lecita, ma probante di una verità che occorre ora tenere in considerazione: garanti e garanzie sono concetti da scindere e da considerarsi singolarmente in base al contesto.

Una proposta, una provocazione

Cambiare la costituzione non è un gioco da ragazzi e, soprattutto, non è questo il clima politico ideale per affrontare un tema di questo tipo. Non è comunque nemmeno un percorso rapido, per cui la corsa va misurata sul lungo periodo. Il pericolo è però che la classe politica si schieri oggi in favore di una proposta da poter sbandierare in campagna elettorale, salvo poi riflettere sulle reali posizioni quando le urne saranno chiuse ed il nuovo Parlamento formato.

Internet deve essere un diritto garantito dalla Costituzione? Sì, secondo alcuni: dal momento in cui la Pubblica Amministrazione elargisce servizi online alla cittadinanza, al tempo stesso dovrebbe garantire il diritto all’accesso; magari direttamente all’interno della Costituzione. No, secondo altri: la Costituzione deve “volare alto” e garantire diritti generali che la legge dovrà andare ad applicare; Internet, peraltro, è soltanto uno dei media (il migliore, quello più pervasivo, l’odierna proiezione del futuro) e non merita tutela specifica.

Non vogliamo interpretare la proposta come una mera provocazione perchè in tal caso occorrerebbe chiudere immediatamente il capitolo e dedicare spazio, tempo ed attenzioni a ben altri argomenti. La vogliamo però interpretare come idea costruttiva per il futuro. Ma in tal caso, pur concordi sulla necessità di promuovere e difendere la rete, non ci troviamo d’accordo con la proposta in sé. Ed ecco il perchè.

Internet non è un diritto, ma uno strumento

Ai tempi di I4P ci schierammo contro la proposta perchè Internet era considerato in quel teorema come un soggetto meritorio di riconoscimenti e responsabilità. Oggi dobbiamo schierarci contro la proposta di modifica costituzionale perchè, ancora una volta, Internet è considerato al di fuori della sua reale entità oggettiva. Internet non è un diritto, ma uno strumento. E l’accesso ad Internet non è un fine, ma un mezzo. Le libertà da tutelare sono altre e l’art. 21 della Costituzione è in questo caso già onnicomprensivo:

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione

Il vizio primario della Costituzione è nel fatto che fa continuo riferimento alla stampa, considerandola come la base fondante del diritto di espressione. È questo un problema che deriva dall’anzianità del testo, il quale andrebbe però svecchiato non cadendo nello stesso tranello: i mezzi di comunicazione cambiano, il mondo si evolve, lo sviluppo è continuo, ma i diritti restano e questi ultimi vanno preservati a prescindere da quali siano i canali attraverso cui si manifestano e vengono messi a disposizione. Non avrebbe senso un art. 21-bis, insomma, quando vi sarebbe bisogno di un 21-tris per la televisione o per le radio.

Inoltre una garanzia costituzionale non avrebbe neppure significato particolare poichè si scontrerebbe con l’applicazione pratica del diritto. Così come formulato, infatti, l’art. 21-bis è di per sé superato ed inapplicabile sul nascere perchè Internet è già oggi formalmente garantito a tutti: lo prevede il Servizio Universale, che a tutti promette il doppino telefonico “per diritto” ed attraverso quest’ultimo la possibilità di accedere al Web. La velocità non è però adeguata? Esatto, giusta osservazione. Ma è su questo punto che occorre agire. Ed è questa l’origine della nostra formale controproposta.

Sia modificato il Servizio Universale

Così spiega l’AGCOM:

L’art. 53 del Codice delle comunicazioni elettroniche (CCE), in recepimento di normativa comunitaria, stabilisce che sul territorio nazionale tutti gli utenti, a prescindere dalla loro ubicazione geografica, devono poter fruire di determinati servizi di comunicazioni elettroniche ad un livello qualitativo prestabilito. Si tratta, come è evidente, di una disposizione di democrazia della comunicazione, finalizzata, in pratica, ad evitare che le zone e utenti meno redditizi in termini di investimenti commerciali per gli operatori rimangano prive della possibilità di utilizzare almeno un set minimo di servizi di comunicazioni elettroniche; una o più imprese sono designate per la fornitura di questi servizi, che vengono definiti di “servizio universale”, per richiamare il fatto che devono disponibili per tutti gli utenti che ne fanno richiesta, ad un prezzo accessibile, come espressione ed applicazione pratica di un fondamentale diritto della persona. Ad oggi l’impresa designata alla fornitura del Servizio Universale è la Società Telecom Italia S.p.A.

Il Servizio Universale è di per sé garanzia sufficiente: prevede per tutti «determinati servizi di comunicazione elettronica ad un livello qualitativo prestabilito». Il problema è però nella parte seguente, poiché nei dettagli si cela il problema vero: sebbene il contratto di Servizio Universale tra lo Stato e Telecom Italia preveda Internet tra le comunicazioni da abilitare, l’efficacia del collegamento non è invece esplicitata nel senso moderno del concetto. In questo buco nero sprofonda la connettività italiana: in una connettività rimasta al doppino in rame ed in netto ritardo rispetto ai tempi della banda larga e della fibra ottica.

L’idea di una modifica del Servizio Universale viene da lontano. Ne parlava nel 2009 l’Anti Digital Divide con una proposta dettagliata su come e perchè sia questo il livello giusto nel quale agire per sbloccare davvero la situazione.

L’idea di una modifica del Servizio Universale non è neppure originale: si sono mossi in questa direzione in Finlandia e in Spagna ove la velocità di 1280/256 Kbit/s (download/upload) è diventata il minimo garantito per legge alla popolazione.

L’idea di una modifica del Servizio Universale non è neppure nuova: lo stesso Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma ed oggi pronto ad appoggiare la proposta di modifica costituzionale, proponeva a gran voce questo percorso soltanto un anno fa: «Le numerose adesioni all’appello degli amministratori locali per il riconoscimento dell’accesso ad internet in banda larga come servizio universale, confermano che su questo tema c’è ormai un grande interesse e una larga condivisione, ed anche l’Italia è pronta ad avere una legge sul modello di quella che è stata approvata la scorsa settimana in Finlandia».

In conclusione

Vediamo la proposta di Wired come una rampante iniziativa di marketing: intelligente nella sua costruzione, ambiziosa nei suoi obiettivi, lecita nel suo modo di perseguire finalità comunicative e commerciali. Vediamo la partecipazione di Stefano Rodotà più in qualità di “padrino” dell’iniziativa che non come garante nel merito: i precedenti ci costringono alla diffidenza. Vediamo gli appoggi esterni (Zingaretti, Cassinelli) come modi giusti per appoggiare il principio generale di appoggio ad Internet (guai fosse il contrario…), ma sbagliati per le conseguenze che hanno sulla finalità specifica della proposta. Vediamo la proposta in sé come un modo sbagliato per affrontare il giusto problema.

Per questo non appoggiamo e non firmeremo la proposta. Non per questo non consideriamo l’accesso ad Internet come un diritto. Ma per renderlo tale occorre anzitutto realizzare l’infrastruttura e fare in modo che possa essere progettata secondo standard, regole e garanzie specifici. Non serve affermare un diritto, perchè la cosa diventa esercizio accademico attorno ad un tema che vede tutti d’accordo. Serve invece uno sforzo per smuovere le acque stagnanti della rete italiana. Per questo da anni Webnews.it si batte per la banda larga, per la lotta al digital divide e per l’affermazione della Net Neutrality come principio irremovibile.

Il rischio, ancora una volta, è di indicare la luna per mostrare a tutti di chi è il dito. Il che, peraltro, non è opportuno quando in ballo c’è la Costituzione. Soprattutto con l’aria che tira.

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