Jumo: il social network degli attivisti

In questi giorni particolari, tra polemiche feroci su Wikileaks, reazioni contrarie di chi propone di inserire Internet nella Costituzione, tra forme di sensibilizzazione sui temi sociali da parte delle star e rapporti che ci dicono quanto i social network occupino sempre più la vita dei giovani, è naturale chiedersi a cosa serva davvero la Rete. C’è chi pensa che potrebbe servire anche a chi ha una missione nella vita.

L’idea è di Chris Hughes, brillante inventore della campagna elettorale online di Barack Obama, che ha creato Jumo, il social network degli attivisti. Lo racconta il New York Times e sembra davvero una buona idea.

Di fatto, Jumo (“unirsi” in lingua yoruba) ha un obiettivo originale: permettere di stringere rapporti e valutare la qualità del no-profit.

Vogliamo fare ciò che ha fatto Yelp per i ristoranti, l’indicizzazione di beneficenza per aiutare le persone a trovare e valutare.

Dalla piccola associazione caritativa ai grandi progetti sull’Africa, fino a questioni generali come la lotta contro l’AIDS trovano tutti spazio in questo particolare social network, che naturalmente sfrutterà le altre piattaforme così che gli utenti trovino persone, commentino l’avanzare dei progetti e partecipino alla creazione di contenuti.

Esistono già applicazioni e siti che si pongono obiettivi simili (lo stesso Facebook Causes), ma la differenza è che Jumo non si preoccupa della raccolta di fondi, ma delle relazioni a lungo termine tra chi attivista e sostenitore. Insomma, crea un legame tra il no-profit e i suoi sostenitori. Come lo stesso Hughes spiega nel video che vedete qui sotto, girato durante un convegno di AcumenFund.

Per evitare abusi e truffe è stato pensato tutto, probabilmente per l’esperienza di Hughes in una campagna elettorale americana: solo le associazioni che godono dell’esenzione delle tasse potranno accettare donazioni. Non mancano però le perplessità: quale sarà il grado di fiducia della blogosfera? E che genere di legame ci può essere tra una comunità virtuale, un po’ superficiale nella sua emotività, e il reale bisogno?

Solo il tempo risponderà, intanto tutti possono creare una loro pagina con una missione sociale: ne esistono già più di tremila. Il margine possibile è enorme: dei 300 miliardi di dollari donati a enti di beneficenza e organizzazioni no profit nel 2009 negli USA, solo il 6 per cento ha provenienza online.

In tempi di Web 2.0, pensare che la beneficenza si possa fare solo con gli SMS è effettivamente antiquato.

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