IBM, per fare un bit ci vogliono 12 atomi

Nei laboratori IBM sta nascendo una nuova tecnologia in grado di trasformare l'archiviazione dei dati, sfruttando solo 12 atomi per ogni bit.
Nei laboratori IBM sta nascendo una nuova tecnologia in grado di trasformare l'archiviazione dei dati, sfruttando solo 12 atomi per ogni bit.

Non sempre grande è sinonimo di migliore, anzi: il mondo della tecnologia va sempre più nella direzione della miniaturizzazione dei dispositivi, con sfide che a volte sembrano impossibili. Eppure, a volte giungono risultati sorprendenti come quelli pubblicati dai ricercatori di IBM, i quali hanno annunciato di essere riusciti a realizzare dei prototipi di supporti per l’archiviazione dati in grado di sfruttare soltanto 12 atomi per immagazzinare un bit.

Trattasi di un risultato eccezionale, soprattutto se confrontato con l’attuale milione di atomi necessari per eseguire la medesima operazione. Una simile scoperta apre dunque le porte ad un panorama costellato di dispositivi di storage dalle dimensioni ridottissime o, al contrario, dall’elevatissima capacità, andando ben oltre quelle che sono le attuali capacità. Il tutto necessita però di una serie di studi ulteriori per comprendere a pieno i fenomeni fisici che intercorrono quando ci si sposta in un dominio microscopico quale quello degli atomi, soprattutto a causa delle interferenze che intercorrono tra gli stessi.

Proprio questo è stato uno dei principali problemi che i ricercatori hanno dovuto affrontare: il campo magnetico generato dai materiali utilizzati per l’archiviazione (principalmente materiali ferromagnetici, in grado di conservare lo stato di polarizzazione a lungo termine) può causare perdite di dati qualora i singoli bit siano fisicamente troppo vicini tra di loro, imponendo dunque un forte vincolo in tal senso. Il team di ricerca non si è tuttavia perso d’animo, adottando un approccio lievemente diverso adottando materiali antiferromagnetici.

In questo modo, ha spiegato il responsabile del progetto Andreas Heinrich, si è riusciti a ridurre al minimo i fenomeni legati all’interazione tra gli atomi, potendo dunque avvicinare gruppi atti ad immagazzinare ciascuno un bit. Il numero minimo di atomi necessari è rivelato essere pari a dodici, otto dei quali assolvono nello specifico al compito di contenere l’informazione desiderata (1 oppure 0 a seconda delle necessità). Passando al campo dell’antiferromagnetismo è stato dunque risolto un importante problema, dovendo tuttavia pagare un prezzo piuttosto caro quale l’adozione di materiali sensibilmente più difficili da studiare.

Il processo di produzione dei device di archiviazione è avvenuto poi ad una temperatura di soli 4 Kelvin, piuttosto vicina allo zero assoluto e dunque piuttosto difficile da raggiungere. Per tale motivo potrebbero essere necessari diversi mesi prima di assistere al debutto sul mercato dei primi prodotti basati su tale tecnologia, i quali sarebbero in grado di essere caratterizzati, a parità di capacità, da una dimensione inferiore di circa 83 mila volte rispetto ai dispositivi attualmente in commercio.

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