Google, completamento automatico antisemita

Attacco in Francia nei confronti di Google: il completamento automatico è antisemita, secondo la denuncia dell'associazione SOS Racisme.
Attacco in Francia nei confronti di Google: il completamento automatico è antisemita, secondo la denuncia dell'associazione SOS Racisme.

Google, la funzione di completamento automatico che si attiva in fase di ricerca è di nuovo sotto attacco, questa volta da SOS Racisme, un’organizzazione francese che combatte la discriminazione razziale e ha querelato il colosso in collaborazione con l’Unione degli Studenti Ebrei di Francia e il Movimento contro il razzismo e per l’Amicizia fra i Popoli. La “colpa” del completamento automatico di Google sarebbe quella di suggerire che molte celebrità politiche e dello spettacolo siano di religione ebraica.

Vengono fatti alcuni esempi pratici, come con il magnate australiano Rupert Murdoch e la star Jon Hamm, cui nomi vengono accompagnati dalle scritte “jewish”, “juif” ed “ebreo” nelle rispettive versioni in lingua inglese, francese e italiana. Patrick Kulgman, avvocato di SOS Racisme, spiega come lo strumento di Google abbia creato probabilmente il più grande archivio di ebrei nella storia, ma considerando che si parla di un qualcosa strettamente correlata all’origine etnica, è di conseguenza da considerarsi fuorilegge.

Mountain View si difende spiegando come al solito che non c’è alcun comportamento umano dietro la funzione di completamento automatico, se non ricerche precedenti di altri utenti. Suggest è stato creato con l’intento di velocizzare la ricerca del consumatore basandosi sulle chiavi più digitate da parte di altre persone. A vincere, insomma, è la popolarità di una parola chiave e niente viene immesso di default. Evidentemente “Rupert Murdoch ebreo” è una ricerca molto in voga tra gli utenti Google.

Non è comunque la prima volta che bigG deve affrontare una causa che coinvolge direttamente la funzione di completamento automatico. In passato, un’azienda francese e un uomo giapponese avevano denunciato Google per aver visto il loro nome affiancato da termini tutt’altro che favorevoli per la loro immagine. I giudici sentenziarono che nessun algoritmo può giustificare il pregiudizio causato.

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