iPhone 5, Apple spiega il colore viola nelle foto

Dopo aver definito "normale" il colore viola in alcune fotografie dell'iPhone 5, Apple sceglie di sminuire il problema in stile "Steve Jobs".
Dopo aver definito "normale" il colore viola in alcune fotografie dell'iPhone 5, Apple sceglie di sminuire il problema in stile "Steve Jobs".

Apple interviene direttamente sul cosiddetto Purplegate, la polemica scoppiata attorno all’alone viola che l’iPhone 5 stempera su talune fotografie ritratte dallo smartphone di Cupertino. Ma si tratta di un intervento molto “Steve Jobs” e poco “Tim Cook”, con approccio radicalmente differente rispetto a quanto portato avanti nel caso delle opinabili mappe inserite su iOS 6.

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Apple, infatti, consiglia semplicemente agli utenti di cambiare il modo di scattare le fotografie, declinando sull’utente finale la responsabilità di arrivare ad uno scatto di maggior qualità.

Apple ha nicchiato alcuni giorni prima di intervenire (in prima battuta aveva semplicemente definito “normale” il problema, non ravvedendo quindi scandalo alcuno), ma alla fine ha ceduto alla pressione delle polemiche: «La maggior parte delle piccole fotocamere, incluse quelle di ogni generazione di iPhone, possono mostrare qualche forma di bagliore sul bordo dell’inquadratura quando catturano una immagine con una fonte luminosa esterna alla scena». Parole che, anzitutto, spostano quindi la polemica dall’iPhone 5 alle piccole fotocamere, generalizzando il “purplegate” all’intera famiglia degli iPhone per non far ricadere l’intera responsabilità sul nuovo arrivato.

E continua: «Può succedere quando una fonte di luce è posizionata ad un dato angolo (generalmente al di fuori del campo in vista) causando una riflessione sulle superfici interne del modulo della fotocamera e sul sensore della fotocamera». Quindi il consiglio, ossia la soluzione che Apple identifica per risolvere l’intoppo: «Spostando leggermente la fotocamera per cambiare la posizione in cui la luce entra nella lente, o facendo schermo alla lente con la propria mano, è possibile minimizzare o eliminare l’effetto».

Chiunque abbia seguito negli ultimi anni l’evoluzione della produzione Apple, ricorderà come Steve Jobs liquidò a suo tempo l’Antennagate, ossia consigliando agli utenti di impugnare in modo differente il telefono per ovviare ai problemi di ricezione (causati direttamente da un chiaro errore di design dell’antenna). L’approccio è stato il medesimo con il Purplegate: il problema viene “esternalizzato”, la soluzione viene scaricata sull’utente ed il telefono ne esce pulito.

Differenze di approccio

Spicca però anche una evidente differenza rispetto a quanto Apple ha messo in campo in occasione dei problemi rilevati sulle mappe di iOS 6: in quel caso Tim Cook si è scusato ed ha promesso immediato impegno per ripristinare il livello qualitativo dell’offerta, correggendo quanto proposto in prima battuta per evolvere la qualità finale del dispositivo.

Ed è una differenza ben motivata. Nel caso delle mappe, infatti, non si sta parlando di un problema “hardware”, ma bensì di un servizio lacunoso che potrà essere affinato poco alla volta. Ammettere un errore a livello di hardware (ammettendo una “colpa” in relazione al modulo fotografico dell’iPhone 5) avrebbe invece una ricaduta di grande pericolosità tanto in termini di vendite, quanto in termini di eventuali risarcimenti: semplicemente impossibile, soprattutto in virtù della reale portata del problema (la polemica relativa appare sproporzionata rispetto all’oggettivo peggioramento della rifrazione viola tra le varie generazioni di iPhone).

L’approccio “Tim Cook”, sorprendente e valido nel campo delle mappe, torna nel cassetto nel momento in cui un approccio “Steve Jobs” si manifesta come più efficace e concreto. E la scelta strategica, pur se opinabile come logica vuole in questi casi, appare del tutto lineare.

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