Microsoft chiede a Google di censurare Wikipedia

Microsoft ha chiesto a Google di non visualizzare tra i risultati gli articoli su Windows 8 pubblicati da diversi siti legittimi.
Microsoft ha chiesto a Google di non visualizzare tra i risultati gli articoli su Windows 8 pubblicati da diversi siti legittimi.

Microsoft ha inviato a Google una richiesta di blocco per alcuni siti molto conosciuti, in quanto accusati di pubblicare contenuti protetti dal diritto d’autore. Una possibilità offerta dal DMCA (Digital Millennium Copyright Act), legge in vigore negli Stati Uniti, ma in questo caso i destinatari del “takedown notice” sono Wikipedia, BBC e lo stesso Governo che ha emanato la controversa normativa. È evidente che si è trattato di un grossolano errore.

Come tutte le aziende che scoprono contenuti illegali su Internet, anche Microsoft ha chiesto spesso (oltre cinque milioni di richieste nell’ultimo anno) a Mountain View di censurare i siti Web che ospitano direttamente software pirata o pubblicano link verso fonti esterne. Negli ultimi tempi però il numero di avvisi ricevuti da Google è aumentato in maniera esponenziale, in quanto la scansione delle pagine viene effettuata in modo automatico, senza l’intervento umano.

Come dimostra la richiesta inviata a fine luglio, non sempre questi sistemi funzionano in maniera ottimale. Insieme ai classici link torrent, fra le 66 pagine Web Microsoft ha segnalato siti legittimi, accusati ingiustamente di pubblicare copie pirata di Windows 8 beta. Wikipedia, BBC, CNN, TechCrunch, The Huffington Post, The Washington Post, AMC Theatres, RealClearPolitics, Buzzfeed e addirittura il sito del Dipartimento della Salute del Governo degli Stati Uniti avrebbero violato la normativa sul diritto d’autore. Fortunatamente Google ha realizzato una sorta di white list per evitare che venga attuata una censura a tappeto. Quasi tutti gli articoli pubblicati sono ancora visibili tra i risultati della ricerca.

TorrentFreak segnala che questo non è un errore isolato. In passato Microsoft ha richiesto la rimozione della URL di Spotify e, in diverse occasioni, anche di censurare il suo stesso motore di ricerca Bing. A questo punto è evidente che l’intera procedura deve essere rivista per evitare la scomparsa da Google di siti perfettamente legali.

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