Memcomputing, il futuro dell'elaborazione digitale

Alcuni ricercatori statunitensi hanno scoperto nuove proprietà di alcuni componenti elettronici su scala nanometrica, aprendo le porte al memcomputing.
Alcuni ricercatori statunitensi hanno scoperto nuove proprietà di alcuni componenti elettronici su scala nanometrica, aprendo le porte al memcomputing.

Il cervello umano è uno dei principali punti di riferimento nello sviluppo di nuove soluzioni legate all’elaborazione. Un chiaro esempio proviene dagli studi condotti nel settore dell’intelligenza artificiale, ove con le reti neuronali si cerca di replicare la capacità da parte dell’uomo di assorbire informazioni dalle esperienze vissute. Ma non solo: un altro obiettivo è infatti quello di riuscire ad archiviare ed elaborare uno stesso dato nello stesso momento, esattamente come fatto dal cervello.

Uno dei principali problemi nelle architetture di elaborazioni moderne è infatti la separazione tra la fase di archiviazione e quella di elaborazione. Tra le due fasi si frappongono infatti processi di scrittura e lettura che rendono sostanzialmente impossibile replicare il modus operandi del cervello umano, quanto meno utilizzando componenti classici. Ed è proprio dal settore dell’elettronica che sembra esser giunta la svolta, grazie all’adozione di componenti su scala nanometrica in grado di fornire un importante ausilio in tale direzione.

Creati per la prima volta nel 2008, tali componenti replicano quelli attualmente in commercio quali resistori, condensatori ed induttori, riducendone le dimensioni a pochi nanometri. Oltre a poter produrre dispositivi sensibilmente più piccoli, secondo alcuni ricercatori è possibile anche eliminare definitivamente la distinzione tra la fase di storage e quella dedicata alla computazione, potendo immagazzinare ed elaborare informazioni nello stesso istante. Un’idea, questa, che proprio nelle ultime settimane è tornata particolarmente di moda grazie agli studi condotti da due ricercatori statunitensi.

Massimiliano Di Ventra della University of California e Yuriy Pershin della University of South Carolina hanno infatti pubblicato un articolo nel quale illustrano le principali proprietà di questi componenti elettronici, tra le quali figurano un’elevata longevità dei dati archiviati, la capacità di cooperare agendo come un unico sistema e la possibilità di reiettare rumori e rispondere a piccole imperfezioni di costruzione senza particolari problemi. La più importante proprietà è tuttavia proprio la possibilità di ricevere ed elaborare dati simultaneamente, velocizzando notevolmente le operazioni di computazione.

L’era del “memcomputing“, così come lo hanno definito negli USA, potrebbe quindi essere più vicina di quanto si pensi. La possibilità di costruire sistemi di elaborazione in grado di replicare uno dei principali vantaggi che caratterizzano il cervello umano potrebbe infatti rappresentare una svolta epocale nel campo dell’informatica, abbattendo quello che da sempre è uno dei “colli di bottiglia” delle architetture moderne. A ciò si aggiunge inoltre la possibilità di ridurre al minimo i consumi energetici, essendo tali componenti particolarmente vantaggiosi da tale punto di vista.

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