ITU, bilancio fallimentare

La conferenza voleva intervenire sulle telecomunicazioni, ma non ha prodotto alcun risultato. Schiaffo dagli Usa, che si rifiutano di firmare.
La conferenza voleva intervenire sulle telecomunicazioni, ma non ha prodotto alcun risultato. Schiaffo dagli Usa, che si rifiutano di firmare.

Tutto come previsto: la conferenza mondiale di Dubai si è conclusa con uno spettacolare fallimento. Dopo 12 giorni di dibattiti, gli oltre 1600 delegati da 153 paesi hanno prodotto una mole indigeribile di risoluzioni che, alla lettera, dovrebbero concedere all’organismo delle Nazioni Unite più potere sulla regolamentazione di Internet, ma resteranno lettera morta. Gli Usa, infatti, si sono rifiutati di firmare, così come molti altri grandi paesi. Uno schiaffo sonoro.

L’ITU naturalmente ridimensiona l’accaduto e parla di «grande successo», enumerando i documenti e pubblicando gli atti finali della conferenza (PDF), ma da più parti giungono critiche all’enorme dispendio di tempo e risorse per un’assemblea che si è trovata contro l’opinione pubblica mondiale – trascinata da campagne di sensibilizzazione firmate da Google e Mozilla, ad esempio – e lo scetticismo del cuore della Rete occidentale: Stati Uniti ed Europa.

Con una premessa del genere, era difficile immaginare un esito diverso. Il direttore Hamadoun Toure sostiene che l’ITU ha redatto impegni che modificano i regolamenti internazionali di telecomunicazioni (ITR) introducendo nuove tutele per i consumatori di tutto il mondo e un ampliamento di Internet ai popoli più poveri.
Usa, Gran Bretagna, Canada, Australia, ma anche Danimarca, Finlandia, Norvegia, Serbia, Grecia hanno detto chiaramente no, convinti che per ottenere un sì globale si lascerebbe Internet alla mercè di nazioni che non hanno rispetto dei diritti civili e potrebbero influenzare il consesso internazionale con la loro visione favorevole alla censura.
Per questa ragione, questo documento potrebbe fare la fine dei tanti protocolli firmati in questi anni senza il parere positivo delle grandi nazioni (come i protocolli ecologici).

Conferenza Dubai 2012

La World Conference on International Telecommunications si svolta dal 2 al 14 dicembre a Dubai.

Le prime letture critiche del documento non lasciano spazio a interpretazione: in tutti gli atti non si fa quasi mai accenno al Web, a Internet, mentre si spendono molte parole per definire l’importanza del ruolo dei governi nell’assicurare infrastrutture robuste contro spam e altri “pericoli”: argomento tipico dell’ipocrisia dei censori cinesi, iraniani, nordcoreani, russi.

Altri brutti esempi sono giunti dall’Europa, come ad esempio il tentativo lobbistico dell’ETNO di eliminare la neutralità della Rete, senza che la risoluzione arrivasse alla dirittura finale. Insomma, un’assemblea in cui la sensazione è che Internet ha più rischiato di perdere qualcosa invece di guadagnarci. Nell’ottica di spalmare l’infrastruttura il più possibile lungo il globo, separando ideologicamente ciò che è politico da ciò che è tecnico, ci si è dimenticati che la realtà dice il contrario.

In ogni caso, il trattato entrerà ufficialmente in vigore il 1° gennaio 2015 – compreso per l’Italia, che ha firmato – mentre per quelli che non l’hanno firmato resteranno in vigore le norme del 1988 e successive. Comprese perciò quelle che lasciano all’ICANN e altri organismi il controllo totale della Rete: tutti sul suolo americano. È come se una massa di inquilini dichiarasse di aver comprato un palazzo, ma ci fosse una sola copia delle chiavi in mano a chi non ha mai firmato il contratto.

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