Quel pasticciaccio di Amazon in Germania

Amazon ha licenziato l'appaltatrice accusata di aver maltrattato il personale temporaneo in Germania con addetti alla sicurezza di simpatie neonaziste.
Amazon ha licenziato l'appaltatrice accusata di aver maltrattato il personale temporaneo in Germania con addetti alla sicurezza di simpatie neonaziste.

Amazon ha chiuso in fretta una vicenda potenzialmente esplosiva, raccontata dal primo canale televisivo pubblico, la ARD, in Germania. Le telecamere erano entrate nel centro operativo a Bad-Hersfeld, nell’Assia (un po’ come fecero qualche tempo fa quelle di Report a Castel San Giovanni nel piacentino), riprendendo le difficili condizioni degli operai temporanei, tutti di origine straniera, sorvegliati e intimoriti da addetti alla sicurezza che non si facevano scrupolo a mostrare aperte simpatie neonaziste. La trasmissione del servizio ha destato uno scalpore mondiale e proteste e minacce di boicottaggio dei clienti. L’azienda di Jeff Bezos ha atteso soltanto pochi giorni prima di licenziare in tronco la H.e.s.s. security, nome che è tutto un programma, che aveva fornito i suoi “servizi”.

Difficile trovare un episodio tanto imbarazzante, sgradevole e scandaloso nella storia recente delle multinazionali della Rete. Pareva che le brutte vicende della Apple e alcune fabbriche cinesi fossero determinate dalle particolari condizioni politico-culturali di quell’area del mondo molto lontana, ma sapere di casi di schiavitù 2.0 in piena Europa è davvero impressionante.

Nel gigantesco magazzino della società in Germania cinquemila stranieri, spesso provenienti da altri paesi in crisi economica come la Spagna, sono stati vessati, umiliati, impauriti da guardie abbigliate come hooligans neonaziste che nello stesso paese con quell’aspetto non potrebbero neppure entrare in uno stadio. Costretti a cedere il 12 per cento del loro stipendio, a dormire in capannoni in condizioni inadeguate, a subire le minacce di queste guardie che si divertivano a giocare al gatto col topo, questi operai erano in una posizione troppo debole per difendersi né tantomeno reagire.

Grande merito va ai giornalisti della ARD che sono riusciti a documentare questa realtà a tratti impensabile in un’azienda come la Amazon. La quale, tramite il portavoce Ulrike Stoecker ha emanato un comunicato senza fronzoli spiegando di aver «licenziato la società con effetto immediato; Amazon ha una tolleranza zero sulla discriminazione e l’intimidazione e si aspetta lo stesso dalle altre società con cui lavora». La Hess ha negato qualsiasi legame con movimenti di estrema destra, ma non è servito.

Finisce qui? Non proprio. Amazon non è nuova a questo tipo di polemiche, soprattutto quando si parla di ritmi di lavoro pressanti a ridosso delle feste natalizie che sovraccaricano i magazzini. Nella sola Germania Amazon conta 7.700 dipendenti a tempo indeterminato, ma ha bisogno di altre migliaia di braccia nel periodo di Natale. Problema che hanno anche molti altri nomi importanti della grande distribuzione dell’e-commerce, come Zalando, altro grande successo globale, che sempre in Germania venne pizzicata a sfruttare eccessivamente gli operai provenienti dalla Polonia.

Il business dell’e-commerce e la crisi europea rischiano di produrre migrazioni interne di lavoratori solo formalmente protetti dalle leggi sul lavoro della UE, ma il caso Amazon racconta come ci sono due elementi di contrasto molto efficaci: l’informazione e la reazione consapevole dei consumatori, che sono in grado di imporre rapidi cambiamenti.

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