Harvard porta la milza in un chip

Da Harvard giunge una tecnologia in grado di affiancare la milza nei compiti di filtraggio del sangue: presto potrebbe essere attiva sul campo.
Da Harvard giunge una tecnologia in grado di affiancare la milza nei compiti di filtraggio del sangue: presto potrebbe essere attiva sul campo.

Il compito principale della milza è quello di filtrare il sangue per eliminare agenti tossici di vario tipo. Trattasi dunque di un ruolo fondamentale nell’economia del corpo umano, in quanto permette al resto dei tessuti di avere a disposizione sangue sempre pulito. Non sempre però tale organo funziona al meglio e dall’ingegneria potrebbe giungere una soluzione definitiva al problema: all’Università di Harvard hanno infatti realizzato un prototipo di milza in un chip pienamente funzionante.

Trattasi per il momento di un dispositivo non capace di funzionare in maniera del tutto autonoma, in quanto richiede la presenza al suo fianco di una milza ancora in parte funzionante. Ciò che offre è un ulteriore controllo del sangue, permettendo così di garantire nel complesso la corretta esecuzione delle operazioni di filtraggio. Il tutto permette così ai pazienti di risolvere svariate problematiche, anche di grave entità.

Il device in questione ha ottenuto anche l’approvazione della DARPA, la quale ha finanziato i ricercatori con oltre 9 milioni di dollari per proseguire le ricerche e migliorare da ogni punto di vista tale tecnologia. In un primo momento, questa sarà utilizzata per curare patologie che possono condurre alla morte, con l’obiettivo di eliminare infezioni di vario genere in pazienti gravemente malati oppure in soldati feriti in combattimento.

Di per sé la scoperta assume un ruolo particolarmente importante nel campo della scienza, ma allo stesso tempo rappresenta un nuovo punto di partenza nella ricerca di nuove soluzioni artificiali con le quali affiancare l’organismo umano al fine di correggerne eventuali difetti o problematiche. L’eventuale capacità da parte dei ricercatori di ridurre sensibilmente le dimensioni di tale device sarebbe quindi il trampolino di lancio verso la realizzazione di piccoli organi digitali da impiantare nei pazienti.

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