Medium: un giornalismo diverso

La versione beta di una piattaforma giornalistica fondata da Evan Williams incuriosisce e dimostra che i new media devono essere nuovi per davvero.
La versione beta di una piattaforma giornalistica fondata da Evan Williams incuriosisce e dimostra che i new media devono essere nuovi per davvero.

C’è un sito dal nome televisivo, Medium, che fa molto parlare di sé, forse anche perché fino a qualche giorno fa il suo creatore, Evan Williams – cofounder di Twitter – non aveva mai sprecato una sola parola per spiegarlo. Ora che se ne sa qualcosa di più, l’esperimento sembra voler centrare al cuore il problema del trasloco dei mezzi di informazione sulla Rete: cambiare le abitudini di tutti, lettori compresi. Da informazione incrementata, a informazione intelligente.

Più facile a dirsi che a farsi. Negli stessi giorni del Festival Digit a Firenze (#digitfi13) incentrato sui mezzi di informazione, dove non sono mancati segni di entusiasmo per la frontiera della comunicazione digitale, il Wall Street Journal sotterrava le testate giornalistiche italiane nell’ambito di una inchiesta sui giornali europei in crisi. Le parole spese sul Corriere della Sera suonano come le campane a morto:

Le vendite dei quotidiani italiani sono in calo del 22% negli ultimi cinque anni. La RCS Mediagroup, proprietaria del quotidiano, ha sfiorato il fallimento lo scorso anno, con una perdita di circa 500 milioni di euro. La circolazione è diminuita di quasi il 20% dal 2007. Con un sito web rudimentale e in gran parte free, è in ritardo su una strategia digitale. Pochi dei suoi lettori sono abbonati online, e ciò lo priva di dati di marketing utili. (…) Solo alla fine dell’anno scorso il Corriere e i giornalisti hanno concordato di scrivere per entrambe le piattaforme e l’integrazione delle redazioni sarà completato il prossimo anno. Ma il giornale deve ancora tagliare 70 posti di lavoro nei prossimi quattro anni, come parte di un piano per eliminare fino a 800 posti di lavoro tra l’Italia e la Spagna nel 2015. Alternative? Il Gruppo 24 Ore, che controlla l’omonimo quotidiano finanziario, è il primo quotidiano italiano ad aver lanciato un paywall all’inizio di quest’anno, ma sta ancora sanguinando inchiostro rosso.

In Rete ci sono troppe schifezze

Nella sua lunga intervista a TechCrunch, che l’ha letteralmente placcato nel suo ufficio, Evan Williams rilascia dichiarazioni quasi sconcertanti, lui che è stato un famoso blogger è arrivato ad odiare il sistema dei tech blog, accusandoli di «scrivere un mucchio di schifezze». Da questo assunto parte la rivoluzione di Medium, che ribalta la visione: nella blogosfera ci sono moltissime notizie continuamente ripetute? In Medium ce ne sono poche. L’advertising spinge per stimolare la voracità del lettore, bombardandolo di informazioni? Secondo Wiliams è venuto il momento di interrompere il ciclo continuo:

Le notizie in generale non hanno quasi mai importanza, e per la maggior parte delle persone sarebbe molto meglio se avessero speso il loro tempo consumando meno notizie e più idee. (…) Le idee e i libri ti cambiano la vita, mentre le notizie per come sono scritte oggi non lo fanno più, perché i motori non ti mandano verso le espressioni più illuminanti e potenzialmente virali delle persone.

Cosa propone Medium

Medium si basa sull’aggregazione di firme, come l’Huffington Post, ma con uno stile molto più autorevole, come fossero i blog interni del NYT.com. Il suo slogan, not too big, not too small, è perfetto: i suoi post hanno lunghezza e argomentazioni spesso derivanti dall’esperienza diretta dello scrivente e usano una immagine forte e semplici constatazioni e registrazioni degli eventi, che spiegano tutto molto meglio di lunghe analisi. I collaboratori, quasi mai professionisti dell’informazione, bensì esperti della materia di cui parlano, utilizzano una struttura talmente semplificata in background che basta soltanto scrivere. La pulizia formale del sito ha ricevuto il plauso di molti giornalisti americani, che l’hanno già eletto cult dell’anno. Il web designer di Facebook, Julie Zhuo, l’ha definita «la migliore esperienza di composizione sul web», e ci sono giornalisti che si sono fatti avanti chiedendo se sia possibile (non lo è) sostituire questa piattaforma a WordPress.

Il governo degli incompetenti e il giornalismo dei tuttologi

La questione sollevata da Medium, per ora soltanto un giocattolo da qualche milione di dollari, con un algoritmo simile a quello di Pandora – originalità assoluta nel settore – che suggerisce ai lettori le storie in base a quanto tempo spendono nel leggerne altre simili, è terribilmente seria: la Rete ha inserito nel dibattito politico lo scenario della democrazia liquida, di un possibile e pericoloso governo degli incompetenti basato sul numero e non sulla conoscenza, ma ha anche i mezzi per filtrare attraverso la sua stessa struttura le idee migliori superando il vincolo della rappresentatività. Nessuno ha ancora trasferito questo dibattito sul web journalism. Molti giornalisti continuano a fare i tuttologi, a doversi occupare di moltissime cose forzati dall’ambiente multitasking e molto competitivo in cui operano, peraltro senza capire bene come ricavarne un guadagno proporzionato e senza, ovviamente, avere il tempo di pensare alla qualità del contenuto.

Nella Silicon Valley sta nascendo un movimento all’interno della Web People – opposti ai dot-com People – che sta immaginando una informazione lenta, virale, illuminata, persistente, che non si preoccupa per il momento della sostenibilità economica. Anche Twitter è nato così, come racconta l’interessante resoconto di BusinessInsider. Poi sappiamo com’è andata a finire.

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