La guerra fredda di Internet

Il rapporto di Vodafone ha il merito innegabile della trasparenza massima possibile e potrebbe cambiare l'inerzia. Internet è in grave pericolo.
Il rapporto di Vodafone ha il merito innegabile della trasparenza massima possibile e potrebbe cambiare l'inerzia. Internet è in grave pericolo.

Rivelazioni shock, dati inaccettabili, privacy negata, pericolo per la democrazia. I commenti dopo il report di Vodafone sulle richieste di metadati e contenuti telefonici hanno rinverdito i fasti delle cronache del Datagate e delle rivelazioni di Edward Snowden sulle attività della NSA e delle intelligence delle grandi potenze mondiali (in particolare Usa e Regno unito, ma di converso anche Russia e Cina). Si tratta davvero di rivelazioni così sorprendenti? E soprattutto, che colpa ha Vodafone? Probabilmente quasi nessuna, se non la sincerità.

La lettura del lungo rapporto della multinazione delle telecomunicazioni è molto istruttiva, in particolare per chi conosce già le premesse del Datagate – in caso contrario vale la pena visitare la ricostruzione interattiva che il Guardian fa degli NSA files: vale da sola il Pulitzer consegnato quest’anno al suo direttore Alan Rusbridger – e cerca una risposta possibile alla domanda delle domande: che fare? Una prima risposta viene fornita proprio dalla Vodafone da pagina 61, dove con schiettezza apprezzabile sostiene sia inutile chiedere un cambio di passo alle telco:

Dal nostro punto di vista, sono i governi, non gli operatori delle telecomunicazioni, a detenere il potere primario di una maggiore trasparenza. Per due ragioni: in primo luogo nessun singolo operatore è in grado di fornire un quadro completo della portata delle richieste delle agenzie e delle autorità, né un operatore può comprendere il contesto delle indagini che generano queste esigenze; in secondo luogo, operatori diversi possono avere approcci molto diversi per la registrazione e la notifica delle stesse informazioni statistiche.

Un esempio concreto della mostruosa raccolta dati della NSA che si evince dalle fonti del datagate: nel minuto trascorso dall'inizio della lettura di questo articolo, l'agenzia di intelligence statunitense ha archiviato per analizzarli 23,8 terabyte, equivalenti di più seimila film ad alta definizione.

Un esempio concreto della mostruosa raccolta dati della NSA che si evince dalle fonti del datagate: nel minuto trascorso dall’inizio della lettura di questo articolo, l’agenzia di intelligence statunitense ha archiviato per analizzarli 23,8 terabyte, l’equivalente di più seimila film ad alta definizione.

L’accesso ai cavi supera il concetto di intercettazione

Il garante della privacy, Antonello Soro, è giustamente preoccupato per la massiva raccolta dati delle telco, anche se la parte italiana non è poi tanto grave come è stato raccontato: il nostro paese ha problemi di illegalità e criminalità organizzata che giustificano le 140 mila intercettazioni annue richieste dalla magistratura: basti pensare che solo per il caso MOSE ci sono 135 persone coinvolte, molte delle quali seguite per mesi. Non sono certo le telco le principali responsabili di questo pericolo per la qualità della democrazia, visto che per la prima volta in un documento ufficiale si accenna all’accesso diretto ai cavi, la vera questione nodale della sorveglianza globale. Il prelievo diretto supera i confini dell’intercettazione alla quale si può opporre qualche ostacolo di natura fisica o tecnologica. Soltanto un accordo internazionale può mettere mano a quella che ormai è una crisi di fiducia mondiale verso Internet.

Le ragioni di Vodafone: tocca alla politica

La politica di intelligence delle nazioni, senza che il mondo ne avesse coscienza, era in piena corsa agli armamenti di sorveglianza, talmente accelerata da non aver dato alcun peso ai richiami delle rispettive costituzioni in merito ai diritti civili. Questo significa che sta ticchettando una bomba a orologeria in seno alla più grande rivoluzione informativa di tutti i tempi (Internet), le cui potenzialità trasformative dell’economia globale sono assolutamente irrinunciabili. Anche gli americani hanno capito che il tempo delle critiche verso Snowden è ormai alle spalle e si può soltanto riparare prima che sia troppo tardi. Barack Obama ci ha provato, dopo le iniziali negazioni, riformando la NSA: accorciati i tempi di scadenza dei dati, trasferito l’onere della conservazione alle telco.

L’allarme di Vodafone, da questo punto di vista, smonta clamorosamente le rassicurazioni della Casa Bianca. Il passo della multinazionale, oltre ad essere certamente utile per invitare anche le altre a fare altrettanto, si chiude con un invito alla comunità internazionale a trovare la soluzione ai vuoti legislativi, alle diverse interpretazioni e alle ambiguità dei trattati, che hanno fatto il gioco di chi ha abusato dell’infrastruttura. La considerazione sulla sfida legislativa incombente è da sottoscrivere:

Le tecnologie di comunicazione si sono evolute rapidamente negli ultimi 20 anni. Quasi tre miliardi di persone comunicano e condividono informazioni attraverso reti di comunicazioni elettroniche su base regolare, e vasti volumi di dati vengono creati e scambiati ogni secondo. Tuttavia, molti dei poteri giuridici dedotti dalle forze dell’ordine, le agenzie di intelligence e di altre autorità governative sono stati redatti in un’epoca precedente, più semplice, quando una famiglia aveva un unico telefono fisso, i telefoni cellulari erano relativamente rari e Internet come lo intendiamo oggi non esisteva. L’uso di tali poteri giuridici nel contesto delle comunicazioni elettroniche ha dimostrato di essere molto controverso. Tutti i governi hanno incorporato eccezioni alla sicurezza nazionale nella legislazione per dare poteri giuridici ad agenzie e autorità. Alcuni governi hanno limitato questi poteri per limitare l’impatto sui diritti umani; altri hanno dotato poteri di più ampio respiro con maggiori impatti sui diritti. Nel frattempo, le agenzie e le autorità hanno cominciato ad applicare tecniche di analisi avanzate per ogni aspetto della comunicazione, i movimenti, gli interessi e le relazioni di un individuo – nella misura in cui tale attività è lecita – ottenendo una profondità di analisi inimmaginabile della vita privata, in temporeale.

Come il disarmo nucleare

In questo momento non ci sono politiche mondiali sulla sorveglianza. C’è la riforma di Obama, c’è la legge sulla privacy europea e lo stile piuttosto duro di Bruxelles nei confronti delle aziende americane – molto più soft l’atteggiamento verso i patti bilaterali in corso su scambi commerciali e di informazioni – c’è l’ipocrisia di paesi come Russia e Cina, notoriamente tra i maggiori produttori di attacchi cibernetici alle altre nazioni per scopi di spionaggio industriale. Un’idea forse sarebbe quella di imitare la politica del disarmo negli anni Ottanta del secolo scorso. Le somiglianze sono stupefacenti, dalla fase di monopolio tecnico americano alle pressioni della comunità internazionale e gli appelli delle organizzazioni, passando alle proposte di trasferire il controllo all’ONU, si potrebbe dire che lo stato attuale somiglia a quello della fine degli anni Sessanta, poco prima del trattato di non proliferazione.

Sulla sorveglianza di massa tramite Internet si potrebbero ricalcare quei passaggi:

  • Trattare tra le potenze la non proliferazione dei metodi di raccolta massiva;
  • Stabilire metodi internazionali di analisi dei database;
  • Stabilire accordi bilaterali o plurali per il graduale ritiro degli ambiti della sorveglianza (l’equivalente del progetto START del 1991 tra Usa ed ex URSS);
  • Disarmare le potenze.

Che Internet verrà?

Che Internet uscirà da questa guerra fredda? Quali saranno le conseguenze visibili? Immaginando che le cose vadano il peggio possibile, tra dieci anni Internet potrebbe aver dimenticato la neutralità dei pacchetti dati, e sarebbe balcanizzato dagli scontri di potere tra le nazioni e dai timori dei cittadini, con diverso grado di competenze e risorse economiche che determineranno i diversi luoghi della Rete che abiteranno e frequenteranno. Potrebbero un giorno esserci diversi web, e poi diversi Internet. Come cerchi concentrici, la rete sarebbe formalmente una soltanto, ma ci sarebbero luoghi che pur facendone parte avrebbero estensione e perimetro molto diversi: meno penetrabili, non indicizzati, con regole loro. Come quei quartieri delle grandi città dove la polizia non entra più, l’unicità della rete sarebbe soltanto nominale ma al suo interno vigerebbero comportamenti e possibilità diverse.

Questa è la prospettiva più inquietante, ma purtroppo plausibile. La maggior parte delle persone, disinteressate alla privacy, incapaci di frapporsi alle tecniche di intercettazione dei governi e dei privati, vivrebbe nella cerchia più grande. Al suo interno, diverse cerchie più ristrette di abitanti più preparati, utilizzerebbero network P2P e crittografia per scambiarsi informazione, valuta, forse anche energia. Una parte relativamente consistente degli internauti sarebbe capace di entrare e uscire da alcuni di questi perimetri, ma la porosità del sistema non sarebbe uguale: più semplice lo spostamento per gli abitanti della rete più piccola, quasi impossibile per tutti gli altri. A meno della costruzione di qualche firewall che li impedisse, il sistema Internet tenderebbe a questo tipo di conservazione nel quale il valore commerciale delle aziende che vi operano non crescerebbe più. E comincerebbero i problemi.

Questo è l’incubo di Google, Facebook, Yahoo, Microsoft e tutti i colossi della silicon valley, e anche se per motivi differenti, dovrebbe essere quello di tutti.

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