Attività dell'Agcom: sui dati è polemica

Non c'è pace all'Agcom, neppure sui dati della lotta alla pirateria: Assoprovider contesta i numeri, che non si capisce da dove provengano.
Non c'è pace all'Agcom, neppure sui dati della lotta alla pirateria: Assoprovider contesta i numeri, che non si capisce da dove provengano.

Quando c’è di mezzo l’Agcom si può star certi che ci saranno polemiche, soprattutto in merito al suo regolamento di contrasto alla pirateria. Da molti mesi, ormai, non si parla quasi più della sua impostazione quanto piuttosto della mediocrità dei suoi risultati, pubblicati pochi giorni fa. E mentre il Web Index dà un brutto voto all’Italia anche per questa ragione, Assoprovider accusa l’Agcom di aver usato dei numeri altisonanti senza alcun riscontro.

Il Report sull’attività in materia di tutela del diritto d’autore online è già diventato un altro caso, al di là dei suoi numeri. D’altra parte, il regolamento Agcom che ha inaugurato quest’anno una nuova era di contrasto alla pirateria digitale è al momento pure sub iudice dopo la sentenza del TAR. Ora, in occasione della presentazione dei dati a un anno esatto dalla sua approvazione (12 dicembre 2013), Dino Bortolotto si è chiesto da dove provengano alcuni dati (come quello dei 3,5 milioni di file resi inaccessibili) che sarebbero significativi dell’efficacia dell’azione dell’Autorità e che invece provengono da una semplice slide firmata da Enzo Mazza, portavoce della FIMI, la Federazione degli editori musicali, parte in causa la cui credibilità sul tema è inevitabilmente influenzata dall’interesse che ricopre.

La reazione di Assoprovider ai numeri di Agcom è piuttosto schietta:

Ero presente a quell’incontro in qualità di Presidente di Assoprovider e devo essere sincero: sono molto stupito di questo comunicato stampa. Le stime del numero di opere inibite diffuse con il comunicato stampa non sono di AGCOM, bensì sono emerse da una diapositiva proiettata da Enzo Mazza, parte in causa, in quanto componente delle organizzazioni che ottengono da AGCOM gli ordini di inibizione. L’Autorità in quella sede non sembrava essere a conoscenza di alcun dato su quel numero né sull’impatto del Regolamento, e non ha presentato alcuna analisi economica sull’impatto. Parimenti non è stato chiarito in quale modo siano stati ottenuti questi dati, attraverso cioè quale procedimento scientifico. Non comprendo come i dati di una organizzazione che non è AGCOM siano divenuti, in un giorno solo, stime di riuscita del regolamento da parte di una istituzione pubblica, degne addirittura di costituire comunicazione istituzionale.

I numeri sicuri

Cercando di restare ai fatti, quei pochi ancora riscontrabili, l’Agcom conferma i numeri che si erano già fatti notare negli scorsi mesi dal sito ddaonline, la piattaforma di segnalazione: l’authority mette in campo la sua struttura per circa una novantina di provvedimenti stanti una trentina di annullamenti di istanze, di cui un terzo riguarda opere fotografiche, un altro terzo quelle audiovisive; seguono le istanze che hanno ad oggetto opere di carattere sonoro (15%), editoriale (11%) e letterario (4%), ivi inclusi ebook, manualistica in chiave educational (la novità del momento, hanno chiuso un forum dove veniva citato un test di ingresso per la carriera militare distruggendo mesi di conversazioni) e narrativa. Solo due istanze hanno riguardato i servizi di media audiovisivi.

Insomma, l’Agcom tutto sta facendo tranne contrastare la pirateria di massa – che infatti è in gran salute – mentre si sta occupando con regolamento proprio e tanto di notice and take down di blog, forum, siti di informazione sui quali qualunque giudice se interpellato avrebbe molto da ridire.

Così non si va da nessuna parte. Dati molto bassi rispetto alle dimensioni, ormai planetarie e forse addirittura culturali, della pirateria digitale, superficialità nell’adottare qualche numero a caso per cercare di rimpolparli, la triste solitudine dell’authority nel difendere un approccio che un qualunque utente di media preparazione salta a piè pari sostituendo il DNS del proprio provider di accesso con un DNS diverso. Stando così le cose dalle parti del Parlamento, che già aveva storto il naso quando venne approvato il regolamento, sorgono nuove proposte. Ce ne sono parecchie, depositate da tempo, ora il M5S propone un disegno di legge complessivo sul copyright che parte chiaramente anche dalla delusione per i risultati dell’attività di Agcom a fronte, nei casi nazionali invece descritti, di «rimozioni senza contraddittorio e fenomeni di autocensura».

Il difetto sin dall’inizio

La verità è che il regolamento aveva troppi difetti per reggere. Approvato senza un passaggio parlamentare, era nato vecchio avendo copiato alcuni concetti antiquati di contrasto alla pirateria mentre il mondo si apprestava a scoprire la sorprendente connessione tra la disponibilità di contenuti digitali p2p e la crescita economica del settore nelle nuove modalità a pagamento e in streaming (Spotify, Netflix). Ora l’incidente dei numeri della FIMI inseriti in un comunicato istituzionale a fronte di dati verificati meno entusiasmanti. Il quadro è un po’ dilettantesco e si deve migliorare, anche perché costa come un Picasso. La cornice è Freedom House che equipara l’Italia al Kazakistan, alla Turchia e a alla giunta militare Thailandese per quanto riguarda il controllo possibile dei siti. Il Web Index della fondazione di Tim Berners-Lee propone un parallelo con l’Ecuador, dove viene negato il fair use, l’uso non lucrativo di opere protette dal diritto d’autore. Si poteva finire il 2014 peggio di così?

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