Neutralità della rete: la FCC vota sì

La commissione federale ha votato a maggioranza la riclassificazione, di fatto escludendo le corsie preferenziali, come caldeggiato da Obama.
La commissione federale ha votato a maggioranza la riclassificazione, di fatto escludendo le corsie preferenziali, come caldeggiato da Obama.

Con tre voti su cinque la FCC ha approvato la riclassificazione della banda larga ai sensi del titolo II del regolamento del trattato delle telecomunicazioni americane. Questo significa che gli Stati Uniti fanno un passo importante verso la difesa istituzionale della neutralità della rete, come peraltro caldeggiato dallo stesso presidente Obama. Tom Wheeler, presidente dell’Fcc (Federal Communication Commission) ha mantenuto le promesse, ascoltato i tanti pareri favorevoli a questo passo che ora rimbalza sul campo europeo.

Il tema della neutralità della rete interroga da qualche anno i governi e le aziende. Da un lato, c’è chi ritiene che l’evoluzione naturale del web sia costruire innovazione continua, dall’altro c’è chi considera i protocolli della rete come principi inviolabili (lo fa anche il Cluetrain Manifesto). Nel dibattito, si è saldata la difesa della neutralità – intesa come trattamento paritario dei pacchetti nel loro trasferimento in rete – come principio politico sia come principio economico; ha vinto quindi l’idea che consentire agli operatori di dare priorità ai pacchetti firmati dai grandi player avrebbe comportato un irrigidimento della rete stessa, dividendola in chi si poteva permettere certi vantaggi rispetto a tutti gli altri.

Niente corsie preferenziali

Usando una metafora automobilistica, si è deciso che l’innovazione è la potenza del motore mentre la corsia preferenziale è una scorciatoia immorale. È neutrale una strada dove chi è più veloce arriva prima, è arbitraria quando invece consente a chi paga di più di arrivare prima a destinazione nonostante abbia un mezzo meno veloce in termini assoluti e relativi, cioè concorrenziali. Il documento approvato ieri sgrombra il campo e stabilisce che toccherà alla commissione far rispettare la rete come piattaforma aperta.


Questo significa che agli ISP è vietato addebitare agli utenti un trattamento speciale e che non possono abusare della loro autorità di gatekeeper per favorire alcuni servizi rispetto ad altri. La prima conseguenza di questo principio è che, di converso, gli operatori non possono neanche bloccare o rallentare il traffico dei propri clienti in base a contenuti, applicazioni o servizi che per qualche ragione non condividono né apprezzano. Le regole si applicano anche alla mobilità.

E l’Europa?

Il vecchio continente è al contempo più indietro e più avanti. In Europa la neutralità è sempre stata più trasversalmente difesa, al contrario degli Usa dove i repubblicani promettono battaglia al congresso. In Europa non si è assistito alle stesse dinamiche tra gatekeeper, web company, piattaforme, telco, forse anche perché qui le reti si sviluppano più liberamente mentre il mercato è bloccato, invece negli Usa è esattamente il contrario: le reti faticano a svilupparsi mentre il mercato dei contenuti via banda larga (basti pensare a Netflix e Amazon Prime) è molto appettibile.
Da qui la nota irritazione di Verizon, il fattore scatenante della battaglia legale che portato a questo escamotage della riclassificazione. La compagnia telefonica ha duramente criticato il voto parodiando un comunicato come si fosse tornati ai tempi del telegrafo.


In tutto questo battage – non ancora concluso – resta tristemente memorabile il tentativo italiano, fallito, di inserire la net neutrality nell’agenda europea, ma ad oggi resta un argomento sul quale Bruxelles e il consiglio europeo devono ancora ragionare. Certamente una regolazione cautelativa dei vettori secondo l’interesse pubblico negli Usa avrà ripercussioni anche in Europa, dove la sensibilità sul tema è meno polarizzata.

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