Ecosistemi startup a confronto

Al GEC a Milano un confronto tra quattro ecosistemi startup: come si lavora per le startup in Italia, Germania, Francia e Spagna.
Al GEC a Milano un confronto tra quattro ecosistemi startup: come si lavora per le startup in Italia, Germania, Francia e Spagna.

C’è l’ecosistema delle startup italiano, che a sua volta è in un ecosistema più grande. Il Congresso Internazionale dell’imprenditorialità, GEC 2015, è stata occasione per Italia Startup e gli Osservatori del Politecnico per aggiornare i dati italiani e confrontarli coi modelli dei vicini Francia, Spagna e Germania. Molte differenze, qualche ragione di ottimismo per l’Italia, anche se in capitali investiti è ancora la cenerentola.

Idea interessante quella di fare al contempo il punto della situazione e una comparazione tra ecosistemi. Benchmark, modelli e prospettive raccontate a quattro voci. Per l’Italia, Andrea Rangone, nel board di Italia Startup e responsabile dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano; per la Francia, Virginie Lambert Ferry, di France Digitale; per la Germania, Christian Miele, nel board della German Startups Association e infine per la Spagna Carmen Bermejo, di Tetuan Valley.

Creazione del lavoro o delle condizioni

Le rispettive presentazioni e la tavola rotonda moderata da Federico Barilli, segretario di Italia Startup, hanno evidenziato la principale differenza tra gli ecosistemi. L’Italia e la Spagna si assomigliano molto, sono entrambi altamente parcellizzati, tendono a concentrarsi su due grandi capitali economica e istituzionale (Barcellona e Madrid, Milano e Roma). La Francia ha realizzato un ecosistema molto più rigido, dedicato soltanto al digitale e, nello stile tipicamente transalpino, con una forte impronta politico-statuale. La Germania fa la voce grossa con un modello decisamente più progredito: per i tedeschi ciò che definisce le startup sono il grado di innovazione, l’età e la crescita in termini di posti di lavoro. Rispetto all’Italia è, per dirla tutta, un altro pianeta, tanto che l’omologo teutonico di Italia Startup può permettersi di considerare di successo le nuove imprese che creano 18 posti di lavoro nei 32 mesi successivi alla fondazione.

L’ecosistema italiano

La mappa aggiornata dell’ecosistema italiano porta comunque qualche buona nuova, soprattutto dal punto di vista della dinamicità, da sempre una delle forze dell’impresa italiana. Nel giro di un anno, dal 2013 al 2014, sono più che raddoppiate le startup innovative registrate presso le camere di commercio, un incremento del 120% essendo passati da 1227 nel 2013 a 2716 nel 2014, mentre le startup finanziate crescono del 9%.

Per quanto riguarda i finanziamenti, Andrea Ragone ha spiegato che i finanziamenti forniti dagli investitori istituzionali, in Italia, sono stati pari a 63 milioni di euro, mentre quelli provenienti da business angel, privati e incubatori acceleratori si attestano a quota 55 milioni. Per intendersi, i 118 milioni di euro investiti nel 2014 si devono confrontare con i 700 della Francia, e gli 800 della Germania, paese che nel primo trimestre 2015 ha registrato un trend che porterebbe a 1,2 miliardi.

In questo scenario, la ricerca dell’Osservatorio Startup Hi-Tech del Politecnico di Milano ha evidenziato due aspetti positivi che stanno accadendo nel nostro paese:

La crescita delle startup innovative e di quelle finanziate, di altri attori come gli “institutional” investitor (+16%), le startup competition (+58%), e le online resources and communities (+35%), sono già elementi significativi nel rivelare il fermento presente nell’ecosistema. Ad essi si aggiungono i diversi casi di exit di successo che attestano l’appeal delle startup italiane per le grandi aziende internazionali: Gentium è stata venduta per 732 milioni, Bravofly Rumbo Group è stata quotata per 578 milioni e Octo per 450 milioni. Infine non mancano le startup che hanno raccolto finanziamenti particolarmente elevati, superiori a 2 milioni di euro. Facility live ha raccolto 10 milioni, DoveConviene 8,7 e Genenta Science 6,5. Queste ultime evidenze dimostrano che – nonostante gli investimenti in capitale di rischio siano in Italia ancora contenuti – esistono molti casi che consentono di guardare con fiducia allo sviluppo prossimo del comparto.

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