La manovra anti elusione è un disegno di legge

L'idea del prelievo forzoso e dell'estensione della stabile organizzazione non è in delega fiscale, ma un disegno di legge di Scelta civica.
L'idea del prelievo forzoso e dell'estensione della stabile organizzazione non è in delega fiscale, ma un disegno di legge di Scelta civica.

La cosiddetta “profit tax” – che tassa non è – è stata svelata e c’è già un colpo di scena: è un disegno di legge, di un solo partito, Scelta civica, e del suo segretario Enrico Zanetti. L’idea di una trattenuta alla fonte del 25% e al contempo di una estensione del concetto di stabile organizzazione è confermata, ma si tratta di una proposta di legge, l’unica del suo genere, che seguirà il suo percorso in aula. Inutile guardare per il momento a palazzo Chigi.

La proposta presentata ieri ha tutte le caratteristiche preannunciate alcune settimane fa. Si tratta di una trattenuta del 25% alla fonte sui pagamenti alle multinazionali che dall’Italia vanno verso le sedi estere. In alternativa, secondo questo progetto, c’è la possibilità di definirsi “stabile organizzazione”, estendone di fatto il significato. Una proposta che sembrava dovesse finire già sul tavolo del governo, ma ora svela la sua natura: è un disegno di legge di Scelta civica. Un percorso completamente diverso, e più lungo, per un’idea che continua a far discutere.

Perché non è una tassa né una webtax

Lo si è già detto e anche Zanetti e gli altri deputati tengono molto a precisarlo: le misure antielusive sulle transazioni online non possono essere considerate una tassa (che invece rigurda un imponibile), né somigliano neppure vagamente alla webtax del 2013, che lavorava sull’apertura di partite iva. Qui il concetto di fondo è uno ed è tanto interessante quanto – si vedrà – quasi incompatibile con le previsioni precise di gettito: se è possibile individuare sul territorio italiano una stabile organizzazione occulta, i redditi conseguiti vanno considerati come imponibili nello Stato in cui la prestazione è effettuata, anziché in quello di residenza. Questo principio è sempre valso nel mondo dei beni materiali, ci si deve adeguare ai servizi immateriali forniti da aziende che sfruttano questo paradosso, cioè di essere concretamente attive nei singoli paesi in cui operano, ma ectoplasmi dal punto di vista fiscale.

Soldi o contenziosi?

Basta seguire la conferenza stampa alla Camera (nel video qui sotto) per capire cosa si aspettano, in realtà, da questo tipo di legge se venisse approvata (ed è un grosso se). Le multinazionali sarebbero di fronte a poche alternative, due per la precisione a meno che non si creda davvero che Google o Apple si definiscano stabile organizzazione senza battere ciglio:

  • Stare a guardare mentre il 25% del flusso di denaro fatturato dall’Italia verso le loro sedi estere viene trattenuto dall’erario.
  • Entrare in contenzioso col fisco.

Fin troppo ovvio cosa accadrebbe. In pratica, il vero intento della legge proposta da Scelta civica è imitare quello che è accaduto qualche anno fa con le sedi estere dei grandi patrimoni personali. L’epoca dei Valentino Rossi, Luciano Pavarotti e altri, che hanno raggiunto un accordo economico sostanzioso col fisco dopo che si era dimostrato come le loro residenze all’estero non corrispondevano alla loro reale vita stabile. Una controversia prodotta da un cambiamento di legge: prima bastava prendere sede a Montecarlo, ad esempio, e starci un giorno, ora bisogna viverci, in modo dimostrabile, per almeno 185 giorni.

Il disegno di legge propone delle soglie: presenza continuativa di attività online per almeno sei mesi, almeno cinque milioni di euro di flusso di denaro nello stesso periodo preso in considerazione. Come ha spiegato Stefano Quintarelli, primo firmatario del DDL, si sta parlando dell’economia dell’immateriale:

Quando Internet era una cosa poco rilevante il livello di attenzione era inferiore; adesso che sta diventando la principale interfaccia utente dell’economia tradizionale certe aree grigie che aprono possibilità elusive devono essere chiarite. Non stiamo inventando niente, quando si riceve un bonifico dall’estero viene trattenuto il 20%, noi lo facciamo in senso contrario. Esiste già il ruling internazionale per le società che operano, anche per un giorno soltanto, nel nostro paese, ma quello riguarda le tasse sul reddito, e quindi si torna al punto: dimostrare che c’è un reddito che va tassato qui.

Intanto alcuni aprono partita Iva italiana

Mentre si discute dell’elusione fiscale e i proponenti sono certi di essere nel trend dell’OCSE – che da tempo sta lavorando a questa possibile riforma – passano sotto silenzio cambiamenti molto rilevanti in questo settore. Ad esempio, da una settimana Amazon ha aperto una partita iva italiana. Quando si compra qualcosa, la fattura del gigante dell’ecommerce non ha più intestazione lussemburghese. Il fatto è stato interpretato soltanto come meccanismo idoneo a impedire i trucchi del reverse change (tra altro una delle destinazioni previste del gettito ipotizzato secondo queste misure), ma in sostanza si tratta di passaggi che oltre a smentire le fughe in avanti punitive di questi anni, tutte contrarie alle norme continentali, scartano parzialmente gli obiettivi della profit ideata da Zanetti.

Resta sul piatto anche un elemento politico: quante possibilità ha di progredire un disegno di legge firmato soltanto da Scelta civica e neppure dal PD? E quante ne ha di influenzare la decretazione del governo?

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