Siamo tutti devianti

Il ministero della Giustizia ha stilato un glossario sui comportamenti illeciti e devianti in Rete, ma invece di distinguere ottiene l'effetto opposto.
Il ministero della Giustizia ha stilato un glossario sui comportamenti illeciti e devianti in Rete, ma invece di distinguere ottiene l'effetto opposto.

Si chiama iGloss@, e al di là del fatto che non si capisce come si dovrebbe pronunciare è un glossario ricco di voci sui comportamenti devianti online. L’ha stilato il ministero della Giustizia con l’Ifso, l’associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, l’Ordine degli assistenti sociali, e con il patrocinio tecnico di Google Italia che contribuirà a diffonderlo. Il principio è condivisibile: conoscere e distinguere i tanti comportamenti a rischio che si tengono sul web, ma questo lungo elenco pensato per genitori ed educatori finisce per far convivere chi ruba le carte di credito coi maleducati su Facebook. E sembra soprattutto servire a dare la stura al progetto di legge sul cyberbullismo.

Il glossario è una specie di enciclopedia dei comportamenti errati e dei veri e propri reati che si compiono online. Sono spesso termini composti, in inglese, dati a comportamenti gran parte delle volte inventati prima del web, ma che online hanno avuto – un po’ per le caratteristiche stesse del mezzo, un po’ per una superficiale visione colpevolista della rete – una grande eco mediatica, fino al punto in qualche caso da meritare un focus specifico. Come fossero fenomeni nati con la rete.

Ovviamente l’elenco contiene molti reati e comportamenti a rischio, dal più scontato banning o il sexting a reati gravissimi come il phishing, casi nei quali vengono elencati anche i relativi articoli del codice penale e tutti gli aspetti giuridici. Insomma, nella sua composizione è fatto molto bene ed è certamente utile per mettere alla prova la propria conoscenza (soprattutto per i giornalisti e gli insegnanti), ma la struttura di questo glossario del cybercrimine ha qualcosa di inquietante. Per quale ragione?

La rete come vettore antisociale

La mentalità che emerge da questo tipo di approccio è tipico della politica italiana, un mix di tassonomie da servizi sociali e paternalismo che ha prodotto negli anni le tanti folli proposte che Webnews ha più volte denunciato. Si nota una chiara volontà di sostenere il progetto di legge sul cybebullismo, confermata anche dallo stesso ministro Andrea Orlando, che ha sostenuto anche ieri durante una intervista che «c’è bisogno di un nuovo impianto normativo sul cyberbullismo», auspicando sia approvato al più presto il disegno di legge Ferrara.

Quel disegno di legge sul cyberbullismo va in una direzione che rischia seriamente, se combinato con tutto il resto, glossario compreso, di far sentire tutti potenzialmente devianti, anche per comportamenti che sono storicamente prodotti dalla cultura libertaria della rete e che si pretende di correggere con una sorta di diritto all’oblio nazionalizzato. Provvedimento urgente, amministrativo, immemore di tutto quanto più volte spiegato a proposito della necessaria separazione tra la sanzione sociale nei confronti di alcuni comportamenti – una sanzione di tipo culturale, di controinformazione, legittima e doverosa – e quella giuridica, che non può essere scavalcata da continue concettualizzazioni di “tutele rafforzate”. Questi concetti emergenziali sono presi pari pari dalle associazioni di genitori e dalle vittime di bullismo o altro,. che hanno ragioni comprensibili ma prospettive troppo schiacciate sulle loro vicende personali.

La visione di questo glossario è dunque molto peggio della sua praticità (che pure esiste), perché fa un ulteriore passo dopo le linee guida del MIUR, stavolta da parte del ministero della Giustizia. Una morsa che persegue il suo obiettivo di stringere più o meno consapevolmente attorno alla rete il cappio di una responsabilità totalmente inventata: quella di essere un vettore antisociale.

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