Foto rubate da Facebook: ci vuole una regola

Il tribunale di Roma riconosce il compenso per una foto presa da un profilo Facebok, ma in ballo c'è molto altro: riservatezza, diritto di cronaca.
Il tribunale di Roma riconosce il compenso per una foto presa da un profilo Facebok, ma in ballo c'è molto altro: riservatezza, diritto di cronaca.

Una sentenza del tribunale di Roma ha stabilito un equo compenso per una foto scattata da un minorenne che ritraeva delle ragazze in discoteca, usata da alcuni organi di informazione dopo averla vista su Facebook. Questo concetto ha fatto parlare di rivoluzione e della fine del brutto vizio dei mass media di scaricare immagini dai profili Facebook per i loro articoli. Almeno fosse così, ma in fatto di immagini e social non è mai così semplice, anzi: il loro uso è sempre stato enormemente complesso e delicato.

La condanna del tribunale nel caso in questione ha subito dato la stura a molti titoli a effetto (un po’ come accaduto con la diffamazione a mezzo stampa, sempre su Facebook), ma in realtà si tratta soltanto di una riflessione sulla monetizzazione, cioè sul riconoscimento del diritto d’autore al titolare di una foto ripresa da un organo di informazione. Di per sé molto importante, ma che in fondo prende dall’ampia letteratura sul copyright. Quando invece si approfondisce l’argomento, anche partendo dalla sentenza ma non fermandosi al compenso professionale di 2.300 euro per il fotografo minorenne incappato in questo caso (buon per lui), si capisce che c’è sempre più bisogno di aggiornare le carte deontologiche della professione giornalistica. Lì si annida il problema, ma anche la soluzione.

Le foto non si possono prendere, a meno che…

Prima di tutto un concetto chiaro e lampante: non si possono prendere foto da Facebook (o da qualunque altro blog o social network) di un profilo personale e pubblicarle senza il minimo rispetto o citazione della fonte. Quando un iscritto a Facebook pubblica una immagine consente il suo utilizzo secondo gli standard della community, e il setting (privato, amici, pubblico) ha molto a che vedere con i potenziali utilizzi. Tuttavia, si accetta implicitamente che quella immagine possa circolare nel social network o anche sui motori di ricerca, ma questo non significa che allora si accetta anche possa essere pubblicata e sfruttata economicamente da qualcun altro.

Facebook ha lavorato parecchio sulla semplificazione degli standard e sulle regole e condizioni, anche se questo non ha evitato un report molto negativo, consegnato a Bruxelles, sul rispetto della privacy e la tenuta rispetto all’interesse delle terze parti. Il sito non si è mai particolarmente distinto nella costruzione di percorsi facili per comprendere tutti i diritti applicabili ai contenuti originali prodotti al suo interno. Sulle immagini, però, c’è da dire che molto è stato fatto a proposito delle segnalazioni.

Intervista a Fulvio Sarzana

Fulvio Sarzana, che ha commentato la sentenza dall’alto della sua competenza in materia di copyright e libertà di espressione, ha comunque usato un punto di domanda: che fare con la pubblicazione delle foto su Facebook? Al di là dei principi assodati e ribaditi nella sentenza, nessuno oggi sa dire esattamente quali siano i limiti di pubblicazione negli organi di informazione delle immagini presenti in rete. E quando non ci sono limiti, ci sono anche pochi scrupoli. La differenza è giocata sul diritto di cronaca.

È giusto affermare che la proprietà ultima di una immagine riprodotta su Facebook appartiene al suo autore?

È corretto, effettivamente è così, ma quando si parla di immagini e web si entra in grosse problematiche.

Nel caso della sentenza?

Mi lascia perplesso che non si sia dato alcuno spazio al fatto che si trattava di foto scattate da un minorenne ad altre minorenni, ragazze cubo in una discoteca. Non porsi il tema della riservatezza è dovuto peraltro alla causa stessa e al provvedimento concentrato solo sull’accertamento di paternità della immagine.

C’è un caso nel quale la paternità dell’immagine è meno importante della sua pubblicazione?

Esiste l’accezione di fotografie “semplici”, che non possono vantare un diritto morale, e poi c’è tutto il campo del diritto di cronaca.

Per semplificare: una foto senza caratteristiche individuabili e una foto così importante da essere utile alla cronaca di un fatto di interesse pubblico esulano dalla questione immagini sì, immagini no…

L’articolo 65 della legge sul diritto d’autore recita: “La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore, se riportato.”

Di fronte a certi usi spregiudicati delle foto di Facebook, soprattutto in caso di morti tragiche o casi giudiziari, viene però da pensare che gli organi di informazione non pensino neppure per un secondo all’etica, né ai criteri di interesse pubblico e continenza espressiva. È forse il momento per un aggiornamento dei codici?

In questi anni sono stati fatti passi in avanti, con la carta di Treviso e altri codici di condotta. Non si vedono più le manette, si vedono meno titoli “etnici”. Probabilmente c’è bisogno di una riflessione specifica su questo aspetto del rapporto tra contenuti social e mass media.

Non esiste un meccanismo automatico quando qualcuno ritiene che la pubblicazione di un proprio contenuto social sia un abuso?

Non esiste, ma è un bene, perché dietro gli automatismi troppo rigidi si nascondono possibili danni alla libertà di espressione e al diritto di cronaca. Significa che ciascuno deve denunciare quello che ritiene essere un abuso, e che l’informazione dovrebbe procedere con l’autoregolamentazione. Si tratta di un processo anche e soprattutto culturale.

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