È arrivato il FOIA, ma è vera svolta?

Il governo pubblica finalmente il decreto che cambia l'accesso, anche tecnologico, ai dati della pubblica amministrazione: ma è un FOIA all'italiana.
Il governo pubblica finalmente il decreto che cambia l'accesso, anche tecnologico, ai dati della pubblica amministrazione: ma è un FOIA all'italiana.

Dopo diverse settimane di snervante attesa, è stato pubblicato il decreto legislativo col quale il governo attua la delega per la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni. Avesse atteso altre due settimane sarebbe scaduta e tutto sarebbe tornato punto a capo. Questo la dice lunga sul peso e l’attenzione che c’era a proposito del cosiddetto FOIA (Freedom of Information Act), da anni promosso da diverse associazioni per colmare un vuoto che in pratica isolava l’Italia dal resto dei paesi occidentali.

Il FOIA è un po’ una Cirinnà della pubblica amministrazione, e come il disegno di legge sulle unioni civili smuove antiche resistenze e rischia concretamente di deludere le aspettative. Innanzitutto, cos’è un FOIA? Questo tipo di accesso è piuttosto comune in molte democrazie (ben 90 in tutto il mondo) e si basa in sostanza sul trasformare la disponibilità parziale della documentazione di una pubblica amministrazione in un vero e proprio diritto dei cittadini senza eccezioni. Molti paesi, dagli Stati Uniti alla Germania, fondano il loro rapporto coi cittadini sulla base di questa trasparenza, mentre in Italia si è sempre proceduto – con qualche risultato sparso – per riforme interne di alcune leggi sempre però nel solco del percorso tradizionale dedicato a giornalisti, lobbisti ed esperti di vario genere.

L’idea forte è che una piena partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica è possibile soltanto quando la pubblica amministrazione non ha facoltà bensì obblighi di informazione, pubblicazione e trasparenza verso tutti i cittadini e che debbano mettere a disposizione ogni tipo di documento che non contrasti con la sicurezza nazionale o la privacy. Un buon esempio delle potenzialità dell’accesso ai dati, in generale, è il caso affittopoli a Roma. Non tutti sanno che lo scandalo è esploso grazie alla pertinacia di un singolo cittadino della Capitale che ha spulciato tutta la documentazione presente sul sito, l’ha rielaborata, fino a scovare tutti i problemi calcolando anche la perdita finanziaria.

Come interviene il decreto

Il pubblico accesso è già possibile in Italia, sulla base della legge 241 che stabilisce il modello di accesso per interesse diretto di qualcuno. Ci sono due leggi, la 190 e il più recente decreto 33 del 2013, sui quali invece interviene ora il governo nell’ambito degli 11 decreti di riforma della pubblica amministrazione, nel quale ha un posto di rilievo anche la trasparenza.

La slide con la quale il Consiglio dei Ministri ha presentato in gennaiol'intervento sulla trasparenza degli uffici pubblici. Si nota, come avvenuto in un successivo CdM, il formato prima-dopo, ieri-oggi.

La slide con la quale il Consiglio dei Ministri ha presentato in gennaio l’intervento per la trasparenza degli uffici pubblici. Si nota, come avvenuto in un successivo CdM, il formato prima-dopo, ieri-oggi.

Il decreto legislativo vorrebbe mantenere la promessa di Matteo Renzi,che già nella campagna del 2012 parlava di Foia nel suo programma, e della stessa ministra Madia che ha più volte espresso la sua fiducia nella possibilità di cambiare radicalmente l’approccio dello Stato nei confronti del cittadino.

Equivalente

Per ottenere questo scopo, il testo modifica alcuni limiti delle leggi vigenti, in particolare quello che obbligava le pa a pubblicare solo certi tipi di dati e legava l’accesso senza motivazione a questo obbligo. Estendendo l’accesso anche ai documenti sui quali non c’è obbligo di pubblicazione, secondo il governo si è creata una legge, scrivono nella relazione, «equivalente a quella che nei sistemi anglosassoni è definita Freedom of information act». Si è lavorato in effetti sulla disciplina e si sono corrette anche molte contraddizioni, tuttavia il parere di molti è che non si tratti assolutamente di un FOIA e che questo decreto non faccia che confermare la sudditanza dei cittadini rispetto alla pubblica amministrazione, che ha sempre malsopportato la trasparenza e soprattutto l’obbligo di fornire chiarimenti.

Non è esattamente un FOIA

Secondo dirittodisapere, da sempre vigili affinché l’Italia si doti di questo tipo di strumento, ai cittadini viene concesso solo un principio teorico senza alcuna garanzia concreta di accesso a documenti dati e informazioni. Per quale ragione? Quella che si era sospettata fin dall’inizio, cioè che non vengono abrogate, anzi neppure sfiorate, le disposizioni della vecchia legge di 26 anni fa. In questo modo il governo ha creato due accessi paralleli: quello rinnovato sulla carta, che estende, e quello concretamente limitato dalla legge originaria, che invece parte dal presupposto che anche quando cada l’obbligo di motivazione da parte del richiedente non ci sia obbligo di motivazione da parte dello Stato. Una specie di paradossale “chiedi pure e non ti sarà dato”.

Un appello alle commissioni

Il silenzio diniego non è peraltro l’unico difetto di questo FOIA all’italiana. I problemi più gravi sono due: non sono previste sanzioni per i dirigenti manchevoli, mentre sono previsti costi per chi richiede i documenti, ad esempio per la riproduzione e spedizione. Un trucchetto molto noto nell’ambiente è che per impedire troppa pubblicità a una documentazione che si ha l’obbligo di fornire basta presentare dei costi: questo semplice ostacolo spazza via il 90% dei freelance, il 100% dei comuni cittadini e metà degli avvocati e delle associazioni.

Nel suo comunicato, Foia4Italy si rivolge al Parlamento:

Chiediamo alle Commissioni Parlamentari, che sul testo proposto dal Governo dovranno esprimere un parere obbligatorio anche se non vincolante, di segnalare queste manchevolezze e vigilare affinché la normativa sull’accesso sia davvero evoluta e all’altezza delle promesse fatte fin qui dai rappresentanti dell’Esecutivo, all’altezza degli altri Paesi e del nostro futuro.

La lettera di Agorà digitale

In queste settimane molti commentatori avevano già scritto delle loro perplessità su questo decreto legislativo, anche per aspetti meno evidenti. L’avvocato Fulvio Sarzana, ad esempio, aveva notato la presenza di eccezioni nell’accesso relative alle attività ispettive delle autorità indipendenti (come Banca d’Italia, Consob e Agcom), il che non è esattamente un capolavoro di trasparenza se si pensa all’attualità; in aggiunta ad altri interessi privati a preclusione dell’accesso – e sono molti: dati personali, segretezza della corrispondenza, interessi economici e commerciali, proprietà intellettuale, il diritto d’autore, segreti commerciali – sono potenzialmente in grado di sottrarre senso a questo decreto, alle sue finalità.

È già stata pubblicata online anche una lettera aperta del segretario di Agorà Digitale, Marco Scialdone, firmata in calce da un gruppo di parlamentari, che chiede tra le altre cose almeno di eliminare il meccanismo del silenzio-diniego e di introdurre sanzioni per il rifiuto illegittimo a fornire le risposte al cittadino sulle informazioni richieste.

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