Nell'era di Photoshop: Nat Geo e il fotoritocco

Un tema delicato per chi fotografa: l'utilizzo della post-produzione su una testata giornalistica, affrontato da un magazine come il National Geographic.
Un tema delicato per chi fotografa: l'utilizzo della post-produzione su una testata giornalistica, affrontato da un magazine come il National Geographic.

Il numero del National Geographic uscito nel febbraio 1982 aveva in copertina una suggestiva immagine di tre uomini a cammello di fronte alle piramidi di Giza. Le silhouette disegnate dalla luce del tramonto, con il sole ormai calante che dipinge il cielo di sfumature rosa. Una fotografia suggestiva, scattata da Gordon Gahan, di certo degna di aprire uno dei magazine più importanti al mondo.

Purtroppo, come ammesso dalla redazione stessa, è il frutto di un’opera di fotoritocco: in fase di editing è stato deciso di diminuire la distanza tra le due piramidi, così da meglio adattare l’immagine (realizzata originariamente in formato orizzontale) all’orientamento verticale della pubblicazione. La differenza tra lo scatto autentico e quello ottenuto in post-produzione è ben visibile di seguito. Sebbene non fosse un’operazione in grado di alterare completamente la natura dello scatto, si è comunque trattato di un intervento pesante, che all’epoca sollevò feroci critiche nei confronti di tutto il reparto responsabile della fotografia.

La copertina del National Geographic del febbraio 1982, con la foto delle piramidi di Giza scattata da Gordon Gahan e pesantemente modificata in fase di post-produzione

La copertina del National Geographic del febbraio 1982, con la foto delle piramidi di Giza scattata da Gordon Gahan e pesantemente modificata in fase di post-produzione

Ben diverso l’esempio del 2010 riportato qui sotto: si tratta di un’immagine inviata dal fotoamatore William Lascelles al contest di Net Geo intitolato Your Shot, poi stampata sulla versione cartacea del magazine. Indagini successive hanno accertato la sua natura fake e la redazione ha pubblicato un’intera colonna sul numero seguente per chiarire la situazione, imputando tutta la responsabilità dell’accaduto all’autore.

La fotografia inviata da William Lascelles al contest Your Shot di National Geographic nel 2010, poi rivelatasi un falso

La fotografia inviata da William Lascelles al contest Your Shot di National Geographic nel 2010, poi rivelatasi un falso

Sarah Leen, direttore della fotografia della testata negli ultimi trent’anni, è tornata sull’argomento, ammettendo come oggigiorno sia più difficile di un tempo identificare un falso. Nell’era di Photoshop, stabilire se un’immagine ha subito alterazioni significative non è semplice. National Geographic chiede sempre i file RAW delle foto che pubblica per stabilirne l’autenticità, sia al proprio staff che ai contributori esterni e, quando non è possibile ottenerli, conduce indagini approfondite per accertare che si tratti di una rappresentazione coerente e fedele della realtà.

Ciò non significa mettere al bando la post-produzione. Qual è, dunque, il confine tra ciò che è ammesso e ciò che invece va considerato al pari di una contraffazione? Qual è il criterio discriminante per decidere se pubblicare o meno uno scatto? Un metro di giudizio universale, adattabile ad ogni situazione senza correre il rischio di commettere errori, non c’è. Secondo Leen, l’unica strada percorribile passa dal trovare la risposta ad una semplice domanda.

Chiediamo a noi stessi: “Questa foto è una buona rappresentazione di ciò che il fotografo ha visto?”.

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