Ice Bucket Challenge, utile alla ricerca sulla SLA

Le secchiate di acqua fredda della Ice Bucket Challenge hanno portato ad un primo risultato concreto nella ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica.
Le secchiate di acqua fredda della Ice Bucket Challenge hanno portato ad un primo risultato concreto nella ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Sono trascorsi esattamente due anni dall’esplosione del fenomeno Ice Bucket Challenge. Nell’estate 2014 decine e centinaia di volti noti da tutto il mondo hanno scelto di farsi una doccia fredda, letteralmente, rovesciandosi sul capo secchiate di acqua ghiacciata. Il motivo? Un buon motivo: una campagna virale di sensibilizzazione e raccolta fondi a favore della ricerca sulla SLA.

115 milioni di dollari

Vi hanno partecipato personalità del mondo hi-tech come Bill Gates e Mark Zuckerberg, celebrità del mondo dello sport come LeBron James, della musica come Justin Bieber e persino l’attuale candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump (mentre Barack Obama ha declinato l’invito, come testimonia il filmato a fondo articolo). Oggi una buona notizia. Non si è trattato solo di un tormentone: l’Ice Bucket Challenge ha effettivamente dato una mano concreta alla ricerca promossa dalla ALS Association. I 115 milioni di dollari raccolti a livello globale hanno permesso di finanziare uno studio che ha portato all’identificazione di un gene collegato alla Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Ricerca sulla SLA

Pur non lasciandosi andare a incauti ottimismi, i ricercatori riconoscono il valore della scoperta. Si tratta di una dinamica che si verifica solo nei casi di SLA ereditati da familiari, dunque una piccola percentuale (circa il 10%) rispetto al numero totale dei pazienti che ne sono affetti. A scoprirla il gruppo di lavoro Project MinE della University of Massachusetts Medical School, analizzando il codice genetico di oltre 1.000 persone colpite dalla sindrome. Il gene identificato si chiama NEK1, osservato nel 3% dei casi, ed è ritenuto responsabile di numerose funzioni e di alcuni danni al DNA e alle strutture del sistema nervoso.

Uno spunto che potrebbe tornare utile per conoscere più a fondo il meccanismo che porta all’insorgere della malattia, facendo sperare per il futuro nella definizione di strumenti e metodi diagnostici più efficaci rispetto a quelli attuali.

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