La Corte Europea smonta l'equo compenso italiano

Secondo la Corte di Giustizia l'equo compenso per copia privata in Italia non rispetta le direttive: ora si apre il fronte rimborsi da parte della Siae.
Secondo la Corte di Giustizia l'equo compenso per copia privata in Italia non rispetta le direttive: ora si apre il fronte rimborsi da parte della Siae.

La lunga diatriba tra aziende e l’equo compenso per copia privata ha segnato una piccola svolta negativa per chi finora l’aveva sempre difesa, cioè governo e Siae. La Corte di Giustizia ha smontato parte del modello impostato nel 2014 dal ministro Dario Franceschini, ed ora tutto è possibile: anche che la società degli editori debba versare molti soldi.

La sentenza della Corte era abbastanza attesa da quando, lo scorso maggio, l’Avvocato Generale aveva chiesto di dichiarare contraria alla direttiva europea la disciplina italiana ancora collegata al vecchio decreto Bondi. Tre le ragioni: la tassa (malsopportata dal mondo ITC e non hanno torto) viene pagata anche da chi non fa uso privato del dispositivo bensì professionale; l’affidamento alla Siae in regime di mancata concorrenza (qui entrano in campo fenomeni emergenti come Soundreef, e poi c’è la legge di riforma che sosta in Parlamento, che a quanto sembra attualmente è ancora filo-Siae); l’assenza di un’adeguata norma sul rimborso.

Questo sbilanciamento non piace alla Corte perché privo di esenzioni da un obbligo di compenso che per sua natura non dovrebbe, come invece accade in Italia, trasformarsi in un balzello pregiudiziale, per di più dov’è assente un ragionamento sul bilanciamento tra gli interessi degli autori e quelli dei privati. Da qui la decisione che prevede il rimborso ex post:

Ai sensi della giurisprudenza e della normativa europee il rimborso può costituire, in astratto, un’alternativa all’esenzione ex ante e può essere generalmente previsto a favore dei soli utilizzatori finali. Questa limitazione non è tuttavia possibile in un sistema che non prevede un esonero ex ante per i produttori, importatori o distributori che forniscono i propri macchinari a soggetti con fini manifestamente estranei alla riproduzione per uso privato.

In soldoni, ora le aziende andranno a battere cassa alla Siae, che ad oggi ha sempre faticato molto a riscuotere, a dimostrazione di quanto fosse errata la difesa del ministro Franceschini del modello discrezionale incentrato sulla società degli editori perché non è assolutamente all’altezza degli standard europei. Ma chi sono queste aziende, chi sono i ricorrenti? Sono Nokia (oggi Microsoft), Hewlett-Packard, Telecom Italia, Samsung, Dell, Fastweb, Sony e Wind, che da sette anni combattono la loro battaglia legale contro la norma dell’equo compenso.

Ovviamente soddisfatta Confindustriale Digitale. Il presidente Elio Catania auspica che la norma recepisca le indicazioni della Corte e che le aziende «siano prontamente risarcite per quanto indebitamente versato ad oggi». L’avverbio non è messo a caso: la Siae aveva chiesto tempo per adeguarsi eventualmente, che non è stato concesso.

Dunque sarà interessante vedere come nei prossimi giorni e settimane Mibact e Siae provvederanno a sistemare la norma nella parte contestata, ma quest’ultima ha tenuto a precisare che si tratta di modifiche parziali, intervenendo sui meccanismi di esenzione ex-ante (cioè stabiliti prima) per l’uso professionale e che non ritiene avrà effetti particolari sulla sua attività in generale.

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