Hillary valutò Cook e Gates come vice presidenti

Tra le mail prodotte da Wikileaks, anche uno scambio nella campagna di Hillary Clinton dove tra i vice presidenti si sono ipotizzati Tim Cook e Bill Gates.
Tra le mail prodotte da Wikileaks, anche uno scambio nella campagna di Hillary Clinton dove tra i vice presidenti si sono ipotizzati Tim Cook e Bill Gates.

Nella fase politica attuale, la Silicon Valley è apertamente democratica. Non ci sono molti dubbi al riguardo e ce ne saranno ancora meno dopo le rivelazioni emerse dal pacchetto Podesta-mails di Wikileaks, dove il responsabile della campagna di Hillay Clinton elenca una serie di personalità interessanti a cui proporre la vice presidenza. Un elenco interessante dove spiccano i nomi di Bill e Melinda Gates, il CEO di Apple Tim Cook, la CEO di General Motors Mary Barra.

Donald Trump l’ha giurata alla gig economy: se vincesse lui le cose cambieranno. E per “cose” il tycoon della vecchia impresa e finanza statunitense che non vuole farsi seppellire dai nerd californiani intende la forte espansione di questa economia che parla una lingua globale, che guarda al mercato globale e considera il nazionalismo di Trump come naif e superato. Infatti, a parte alcune eccezioni clamorose come Peter Thiel – che ha donato 1,25 milioni a Trump, il quale finora ne aveva appena raccolti 300 mila – il coro è per Hillary Clinton. Tim Cook si è legato al dito il parere tranchant del candidato repubblicano sullo scontro Fbi-Apple, Microsoft, Google, Facebook, con diverse sfumature contrastano la politica repubblicana (Mark Zuckerberg è stato persino accusato di manipolare i trend topic degli articoli a tema repubblicano nella newsfeed del social network). Jeff Bezos ha sguinzagliato trenta giornalisti del suo Washington Post per indagare tutta la vita passata di Trump.

Di cosa stupirsi, dunque, delle parole della mail datata 17 marzo 2016 dove lo stretto collaboratore di Hillary stila un elenco di possibili VP (vice president) che sembra corrispondere al gotha dei colossi del web? Attenzione però: tutto va considerato dentro una campagna elettorale e una politica molto diversa e che non sempre noi europei riusciamo a  capire. Insieme agli amministratori di Xerox e Starbucks si vedono anche molti altri nomi standard, come Michael Bloomberg, e non bisogna scordare che Tim Cook ha donato soldi a entrambi i partiti (ha recentemente ospitato una raccolta di fondi per il presidente della Camera Paul Ryan, un fermo conservatore, anche se parecchio ostile a Trump), quindi la vicinanza potrebbe essere più personale, incidentale che ideologica.

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