Corte di Cassazione: ok alle telecamere sul lavoro

La Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro non compie illeciti qualora riprenda i dipendenti per verificare l’eventuale commissione di reati.
La Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro non compie illeciti qualora riprenda i dipendenti per verificare l’eventuale commissione di reati.

Se è al fine di verificare l’eventuale commissione di reati si possono riprendere i lavoratori con le telecamere. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha respinto la richiesta di un gruppo di “furbetti del cartellino” che intendeva annullare la loro condanna poiché le immagini sarebbero state riprese in modo illegittimo. La Corte invece, per la prima volta stabilisce una via molto chiara al telecontrollo sul lavoro.

Il caso specifico è molto particolare e lo spiega con dovizia l’avvocato Fulvio Sarzana, esperto di diritti digitali. Da non confondere con la legislazione italiana e la tendenza dei tribunali, piuttosto incline, invece, a ribadire come ci debbano essere motivi circostanziati per controllare con delle riprese video i lavoratori di un’azienda, questa sentenza della Cassazione va vista con un’ottica diversa da quella ancorata al solo articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: in questo caso i giudici hanno precisato che quando si procede all’accertamento di fatti che costituiscono reato non possono valere le normali garanzie procedurali.

Cosa significa, in soldoni? Si può semplificare in questo modo: se le immagini catturate riprendono un reato, non si può pensare che nell’equilibrio tra riservatezza e conoscenza prevalga la prima a dispetto dell’interesse pubblico di impedire o punire un reato. La privacy non può essere un paravento se ti hanno già condannato. La spinta di questa sentenza, peraltro successiva e forse culturalmente figlia del jobs act e dei suoi aggiornamenti, è spiegata dallo stesso Sarzana:

Per quanto riguarda il rapporto interno non cambia granché, si ribadisce il telecontrollo rispetto all’efficacia contrattuale: certamente però apre una strada. La sentenza esclude tutto quanto riguarda la privacy, il giusto rapporto tra lavoratore e datore, le tecnologie da usare, si concentra soltanto su un aspetto: si può riprendere un lavoratore, direttamente, se si teme avvenga un reato? La risposta è affermativa. Ovviamente, restando validi tutti i protocolli che stabiliscono come si installano queste apparecchiature e quali informative dare ai lavoratori, c’è anche l’opzione per cui un datore può essere tentato di sostenere che per un piccolo furto è giustificato a riprendere i lavoratori. Ma la ricerca di una condizione di pericolo dovrà essere spiegata, altrimenti si può ricadere nell’abuso.

Le telecamere sul lavoro, insomma, sì, coi protocolli giusti, e con una informativa. Si può rischiare di riprendere costantemente e in volto i dipendenti se si pensa avvenga un reato, ma a quel punto è meglio che avvenga davvero altrimenti potrebbe essere un problema. Di certo, la Corte ha detto chiaramente che il furbetto acclarato non può appellarsi, dopo, alla privacy.

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