Tanto passaparola, pochi spot: così Netflix vince

Tanto passaparola sulle serie autoctone e poco advertising: così Netflix vince la sfida dello streaming, permettendosi produzioni dai costi record.
Tanto passaparola sulle serie autoctone e poco advertising: così Netflix vince la sfida dello streaming, permettendosi produzioni dai costi record.

Aveva destato una certa curiosità la notizia, emersa qualche settimana fa, dei grandi costi sostenuti da Netflix per produrre “The Get Down”, la sua serie dedicata all’universo della musica black, e non solo, degli anni ’70. Sebbene conferme ufficiali non ne siano mai emerse, testate statunitensi come Deadline avevano indicato cifre da oltre 15 milioni per episodio, un vero e proprio record per il colosso dello streaming. E con il lancio odierno dell’attesissima “The Crown”, la serie dedicata alla giovane Regina Elisabetta, la storia si ripete: secondo le stime, Netflix potrebbe aver speso 130 milioni di dollari in produzione, 13 per ogni singolo episodio. Eppure, nonostante i costi sostenuti, sembra che l’ecosistema Netflix sia più florido che mai, così come confermano anche i risultati dell’ultimo quarto: merito di una strategia ben ponderata, così come sottolinea The Street, che ha permesso al gruppo di conquistare abbonati senza dover lanciarsi in advertising aggressivo. E meno pubblicità significa più denaro per i contenuti.

Il fattore di punta che spinge gli utenti ad abbonarsi a Netflix, e mantenere le loro sottoscrizioni attive nel tempo, non dipende dall’ampiezza del catalogo, dalla presenza di blockbuster hollywoodiani o altri fattori che, di solito, accomunano le varie piattaforme di streaming. Così come sottolinea The Street, Netflix riesce a conquistare clienti grazie alle sue serie autoctone, dei prodotti curati in ogni minimo dettaglio, dalla comunicazione lontana dai rigidi paletti televisivi e perfettamente cuciti sulle esigenze degli spettatori.

L’utente si abbona a Netflix non semplicemente per approfittare di un servizio di streaming, spiega The Street, sceglie Netflix perché vuole vedere “Stranger Things

”, “The Crown”, “Narcos”, “Black Mirror” e tutti gli altri contenuti autoctoni campioni di hype. E ad attirare le curiosità del cliente, fatto questo predominante, non è la sponsorizzazione di questi contenuti, né un advertising martellante. A vincere è il passaparola, i commenti nel gruppo dei pari, i consigli spontanei che altrettanto spontaneamente appaiono sui social network. Fornendo dei prodotti finemente curati, e quasi tutti diventati di culto, Netflix non ha bisogno di investimenti estremi in pubblicità, perché sono gli stessi abbonati a trasformarsi indirettamente in piccoli promotori. E risparmiando sull’advertising, l’azienda può aumentare facilmente gli investimenti in produzione, rendendo le proprie serie sempre più innovative e alimentando, così, un circolo virtuoso. Al crescere della qualità dei contenuti, infatti, cresce anche la sponsorizzazione spontanea da parte degli appassionati.

Una prospettiva, questa, che sembra essere condivisa anche da Michael Goodman, direttore delle Digital Media Strategies per Strategy Analytics. Gli ottimi risultati dell’ultimo quarto, infatti, sembrano essere guidati largamente dal successo di “Narcos” e di “Stranger Things”, non dalla pubblicità. Certo, Netflix si lancia nella cura dei social network e in piccoli interventi di advertising digitale, ma Goodman ritiene che la fortuna del gruppo sia quella di essere “francamente una compagnia basata sul passaparola”. E pare che il gruppo non abbia intenzione di cambiare strategia: per il 2017 sono attese ben 1.000 ore di programmazione originale, con investimenti in produzione anche fuori dagli Stati Uniti. Come in Italia, dove proprio in questi giorni sono cominciate le registrazioni per “Suburra”.

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