Vinile poco indie: impianti monopolizzati da major

L'elevata domanda di vinili, unita ai pochi impianti disponibili, esclude le etichette indie: le major hanno monopolizzato gli impianti di produzione.
L'elevata domanda di vinili, unita ai pochi impianti disponibili, esclude le etichette indie: le major hanno monopolizzato gli impianti di produzione.

Il ritorno in grande stile del vinile, oggi uno dei supporti musicali più venduti, ha generato non pochi grattacapi in fase di produzione. Gli impianti attivi e funzionanti sarebbero infatti numericamente ridotti e, di fronte all’elevatissima domanda, si accumulano ritardi e liste d’attesa. È quanto lamentano alcune etichette indie, così come riportato dal Guardian, nel sottolineare come le grandi major dell’intrattenimento abbiano letteralmente monopolizzato le poche linee disponibili.

Il fenomeno è ormai ben noto: negli ultimi anni, in particolare in un biennio, il vinile è rinato dalle proprie ceneri fino a diventare uno dei supporti oggi più gettonati. Nel dicembre del 2016 le vendite di 33 e 45 giri hanno superato la digital delivery nel Regno Unito, uno dei mercati più rilevanti a livello musicale, mentre per questo 2017 al termine si prevede una distribuzione record, praticamente sovrapponibile ai dati del 1990. All’elevata richiesta, tuttavia, non sempre è corrisposta un’adeguata disponibilità di impianti produttivi: sebbene alcuni big si siano mossi per ammodernare vecchie strutture, basti pensare a Sony in Giappone, le strutture oggi in grado di garantire una stampa su grande scala sono assai esigue. E così si accumulano ritardi, a quanto pare a discapito delle etichette discografiche più piccole.

Le liste d’attesa avrebbero già raggiunto diversi mesi, anziché le poche settimane come accadeva in passato, e la produzione sarebbe a quasi completo appannaggio delle grandi major. Così le case discografiche indie temono di non poter sopravvivere sul mercato, per l’impossibilità di fornire agli appassionati dischi in tempi certi. Un trend confermato da Gerald Short, fondatore di Jazzman Records:

Produciamo vinili da 20 anni senza sosta e il tempo d’attesa è passato dalle tre settimane ai tre mesi. Le major possono contare sugli impianti di stampa grazie al volume di business che possono offrire, lo capisco. Ma la maggior parte delle case discografiche oggi si avvalgono di impianti in Europa e, al momento, le strutture non riescono a mantenere i ritmi della domanda, pur lavorando 24/7. […] Il grande problema è l’impossibilità di programmare le release. Per promuovere un disco, è necessario avere una data di lancio e un certo quantitativo di tempo prima di quella data per promuoverlo. Se non si sa quando gli stock saranno disponibili, è difficile scegliere un lancio. E se un disco dovesse andare a ruba, è necessario ristamparlo subito, non dopo diversi mesi.

Del medesimo avviso anche Jonny Trunk, fondatore di Trunk Record:

Non ho mai visto nulla di simile: è una corsa all’oro che determina ritardi. Se un impianto riceve un ordine da una major, ad esempio “Abbiamo 20.000 dischi dei Dire Straits da stampare”, la struttura rinuncia alla produzione per le etichette più piccole pur di assecondare il grande ordine.

Come già anticipato, le aspettative del vinile per il 2017 sono molto elevate. Nella prima metà dell’anno si è assistito a una crescita del 37.6% e, nel Regno Unito, si stima la distribuzione di 4 milioni di 33 e 45 giri entro il 31 dicembre. Mentre all’inizio del decennio il solco dominava la categoria rock, con ristampe di vecchi album, ora è il pop a dominare le vendite: nel 2015 “25” di Adele ha superato ogni aspettativa, mentre nel periodo natalizio del 2016 gli impianti di mezza Europa sono stati impiegati per la ristampa di “Back to Black” di Amy Winehouse.

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