Dipendenza da selfie: un disturbo mentale?

Uno studio indaga le complesse e ancora poco chiare dinamiche che spingono sempre più persone allo sharing compulsivo dei selfie sui social network.
Uno studio indaga le complesse e ancora poco chiare dinamiche che spingono sempre più persone allo sharing compulsivo dei selfie sui social network.

La letteratura che prende in esame il fenomeno selfie è pressoché inesistente. Per comprenderne le origini è necessario rifarsi al percorso di evoluzione-involuzione dell’autoritratto fotografico, un processo accelerato dall’adozione su larga scala degli strumenti offerti dai social media. C’è però chi inizia a indagarne le dinamiche, rivelandone cause ed effetti.

All’inizio dell’anno abbiamo riportato su queste pagine i risultati della ricerca The Selfie Paradox (pubblicata su Frontiers in Psychology), secondo la quale vi è un’enorme distanza tra la percezione che abbiamo dell’immagine di noi stessi affidata al Web e quella percepita dagli altri. Oggi torniamo sul tema prendendo in esame lo studio condotto da un team della Nottingham Trent University in collaborazione con i ricercatori della Thiagarajar School of Management di Madurai (India), pubblicato sull’International Journal of Mental Health and Addiction. Si parla di una Selfitis Behavior Scale ovvero di parametri attraverso i quali classificare il comportamento di coloro che proprio non resistono alla tentazione di scattare e condividere selfie.

Il primo step ha portato a determinare i sei fattori che spingono ad attuare il comportamento: il desiderio di incrementare la fiducia in se stessi, il bisogno di attenzione, la necessità di migliorare il proprio umore, la creazione di nuovi ricordi, l’ambizione a uniformarsi con i gruppi di appartenenza e la partecipazione a competizioni di natura social. Sono stati chiamati in causa 400 utenti indiani. La scelta non è stata causale: è il paese con il maggior numero di iscritti a Facebook e che vanta il poco invidiabile record di decessi occorsi a persone intente a realizzare autoscatti in situazioni pericolose.

Coloro coinvolti nello studio sono stati classificati in tre categorie, a seconda di quanto grave sia la dipendenza da selfie manifestata, un comportamento che secondo i responsabili della ricerca arriva in alcuni casi a poter essere definito come un vero e proprio disturbo mentale: borderline, acuto e cronico. Rientrano nella prima fascia quelli che realizzano autoscatti almeno tre volte al giorno senza però condividerli, nella seconda chi lo fa con la stessa frequenza pubblicando poi le foto e nell’ultima gli utenti con un continuo, incontrollabile e ossessivo bisogno di immortalare la propria immagine e affidarla ai social.

Dei 400 soggetti presi in esame, 230 sono uomini e 170 donne, con un’età media pari a 20-21 anni. Il 34% di loro rientra nella fascia borderline, il 40,5% mostra i segni di un disturbo acuto e il 25,5% cronico.

L’obiettivo primo della ricerca è quello di stimolare l’approfondimento del fenomeno con ulteriori studi, così da determinare cosa spinge sempre più persone ad attuare un comportamento potenzialmente dannoso (per se stessi e per gli altri), spesso in modo inconsapevole. Solo comprendendone a fondo le ragioni e le dinamiche sarà possibile offrire ai soggetti interessanti l’aiuto necessario.

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