SMX Milan 2013: tre domande a Alessio Garbin

In occasione dell'SMX Milan 2013 abbiamo incontrato Alessio Garbin, co-founder della video factory Uramaki, per parlare di YouTube e di viralità.
In occasione dell'SMX Milan 2013 abbiamo incontrato Alessio Garbin, co-founder della video factory Uramaki, per parlare di YouTube e di viralità.

Durante la prima giornata dell’SMX Milan 2013 abbiamo assistito a una interessante dicotomia tra le varie presentazioni svoltesi presso la location di Milano Congressi: se il mantra generale era quello di uno spostamento del focus dal contenuto al medium, ponendo l’accento sull’importanza di quest’ultimo e delle sue dinamiche nel processo di trasmissione dei messaggi, qualcosa di parzialmente differente avviene invece nel mondo dei video. Qui, infatti, la bontà del contenuto sembra avere ancora un peso specifico alto, conservando la sua fondamentale importanza nel mix significativo messo a punto.

Ne abbiamo parlato con Alessio Garbin, il quale con la sua video factory Uramaki ha fatto della comunicazione video un impegno professionale. All’SMX Milan 2013, Alessio Garbin (docente di “Video content production” nel corso 2013 di Alta Formazione UPA e di “Video design” nel Master IED di Digital Media Management) ha snocciolato alcuni dei casi principali di video virali, ma non si è limitato ad elencarli: ne ha analizzate le caratteristiche ed ha evidenziato cosa una azienda possa, debba o non debba fare per investire il proprio denaro nella comunicazione video e, più nello specifico, nella comunicazione attraverso YouTube.

Tre domande per Alessio Garbin, la terza delle quali in comune con tutti gli altri intervistati:

1. Come possiamo definire “virale” un video? È sufficiente il numero delle view? Quale meccanismo deve innescarsi per poter parlare realmente di “viralità”?

Perché un video si definisca virale è necessario che si verifichino una serie di circostanze. La più evidente sono sicuramente le visualizzazioni, che devono però essere complete, cioè le persone devono guardare il video più a lungo possibile (ideale sarebbe fino alla fine) altrimenti YouTube ne comprende la mancanza di qualità. Sono ottimi indicatori di successo anche gli share ovviamente, che indicano non solo che il video piace (o non piace), ma che lo si vuole anche condividere con la propria rete. Parte del successo si intuisce anche dalla presenza di commenti, di “like this” su YouTube, di remix del video originale (brutti o belli che siano) oltre che di caricamenti successivi del video da parte di altri utenti non collegati all’account principale. Trovo però che il vero parametro che conti oggi (dopo il cambiamento di layout di YouTube dello scorso marzo) siano però le iscrizioni al canale che ospita il video. Questo è fondamentale soprattutto se si tratta di un video prodotto da un’azienda. In quest’ultimo caso saranno di particolare importanza anche i link che dal video portano a eventuali landing page esterne, shop ecc. Quindi un video virale è tutt’altro che una semplice questione di views. A innescare la miccia di un virale sono comunque i contenuti (ad alto tasso emotivo, di qualsiasi genere questo sia) oltre ad una sana strategia di distribuzione che contribuisca da subito a far conoscere le potenzialità del video per poi lasciare che siano gli utenti a diffonderlo.

2. Qual è oggi il ruolo della comunicazione tramite video? È un ruolo pienamente compreso dalle aziende, oppure serve anzitutto una formazione di chi dovrebbe esserne interessato?

Come sempre le aziende (soprattutto le italiane) arrivano a comprendere le cose con una certa… “calma” (e sono stato buono!). A volte per questo perdono delle belle occasioni. A parte questo, credo che oggi le aziende stiamo effettivamente comprendendo che il testo ha una fruizione e una resa molto diversa dal resto dei contenuti e che su questo non possono quasi mai puntare per la vendita di prodotti e servizi, o anche solo per catturare il proprio target nel marasma dei contenuti attualmente in circolazione online. Hanno recentemente compreso che le foto sono un buon metodo per ingaggiare (vedi anche il successo di Pinterest e la già discreta presenza delle aziende su questo social network). Il video invece rimane ancora percepito come troppo complicato (“Oddio quanto ci costerà? Non ce lo possiamo permettere!”) oppure, per ignoranza, viene associato ai classici contenuti esteticamente brutti che fanno certi blogger, con l’audio tipo batcaverna. Sinteticamente posso dire che con il video si fa di tutto e con tantissimi tipi di budget. Bastano creatività e competenza. E un po’ di buon senso. L’utente vede più volentieri i video e questi possono contenere decine di volte più informazioni rispetto ad una foto e intrattenere più a lungo e meglio. Per non parlare del fatto che con il video si può anche fare formazione, informazione e molto altro. Vediamo quanto impiegheranno le aziende a comprendere questo strumento e a impiegarlo bene.

3. Un tempo si diceva “content is the king”. Chi è il Re, online, oggi?

Il video è sicuramente un grande sovrano in un regno oggi molto popolato. Ma credo che se parliamo dell’intera Rete siano i games i veri Re tra tutti i contenuti. Gli unici a potersi permettere di richiedere abbonamenti mensili, oppure a partita, oppure a bonus ecc. Forme di monetizzazione che il video non può nemmeno concepire, proprio per la sua essenza di contenuto già realizzato e con una proprio anima (e percorso narrativo) già delineato. I games invece hanno la capacità di suscitare interazioni di tutti i tipi. Questo non toglie il fatto che nessuno di noi passa la vita a giocare e a interagire continuamente con i contenuti, abbiamo anche bisogno di fruire, di assorbire, di lasciarci trasportare da una storia, da un’emozione. E questo fa il video. E, per fortuna, non è una prerogativa solo dei virali.

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