Microsoft, tentazioni open source

Chi disprezza ama. Tra Microsoft e il mondo open source il disprezzo è conclamato, ma sotto sotto potrebbe esserci qualcosa di più. I passi di Microsoft verso il pinguino, infatti, sono piccoli ma continui. Timidi, ma decisi. Silenziosi ma evidenti
Chi disprezza ama. Tra Microsoft e il mondo open source il disprezzo è conclamato, ma sotto sotto potrebbe esserci qualcosa di più. I passi di Microsoft verso il pinguino, infatti, sono piccoli ma continui. Timidi, ma decisi. Silenziosi ma evidenti

Per molti supporter dell’open source il nemico è facile da identificare: Microsoft. Non solo in quanto azienda produttrice di sistemi operativi e applicativi usati dalla stragrande maggioranza di chi siede davanti a un computer, ma soprattutto per il modello di sviluppo che essa rappresenta. E Microsoft, dal canto suo, come vede l’open source? Seppure può sembrare retorica e vaga, la risposta è “dipende”.

Negli ultimi tempi Microsoft si è trovata, per vari motivi, a fronteggiare il movimento open source e le aziende che nel codice aperto credono abbastanza da fondarvi il proprio business. L’episodio che più ha suscitato polemiche e discussioni è legato a un numero: 235. È il numero di brevetti Microsoft che, a quanto dice Steve Ballmer, Linux, OpenOffice.org e altri software open source hanno apertamente violato. Apertamente, poi, fino ad un certo punto: Microsoft non ha mai indicato di quali brevetti si trattasse, e si è solo limitata ad indicare per ogni colpevole il numero di brevetti infranti. Un’azione che Linus Torvalds, padre del kernel Linux non ha esitato a definire puro FUD, Fair Uncertanty and Doubt.

Nulla di più di una semplice tecnica per spaventare i clienti e spingerli a permanere nella situazione corrente. Una tecnica che fino ad ora ha spinto alcune aziende Linux a stringere accordi con Redmond per garantirsi l’immunità da eventuali azioni giudiziarie, guadagnandosi però il biasimo della comunità open source. Anche aziende che con Microsoft collaborano attivamente su più fronti hanno biasimato il comportamento di Redmond. In un post sul suo blog, il presidente di Sun Jonathan Schwartz ha consigliato alla società fondata da Bill Gates di ascoltare i clienti piuttosto che minacciarli. Schwartz ha inoltre invitato Microsoft ad avere una visione diversa dell’open source, ricordando che quando Sun si trovò ad affrontarlo risolse il dilemma innovando, e non costruendo delle barricate.

Insomma sembrerebbe che Microsoft abbia effettivamente paura dell’open source. Eppure è la stessa Microsoft a ricordarci che non è proprio così, che bisogna distinguere tra open source e open source, cogliendo le differenze tra le varie licenze, per poi scegliere quella che più si concilia alle esigenze dell’azienda. E così Bill Gates, in un incontro tenutosi all’università di Berkeley, ha elogiato a non finire la licenza BSD, guarda caso creata in quella stessa università per distribuire quel sistema operativo oggi noto come FreeBSD. Una licenza che permette di includere il codice sorgente all’interno di altri progetti, anche commerciali, anche chiusi. Giusto per fare un esempio famoso, Microsoft Windows, a partire dalla versione 2000 Professional, deve il funzionamento e la gestione della rete proprio ai prelievi effettuati dal codice di FreeBSD.

Questa operazione sarebbe impensabile se il codice fosse stato rilasciato sotto la General Public License, la licenza del progetto GNU, la stessa utilizzata dal kernel Linux. Le regole imposte dalla GPL sono molto più restrittive: il codice può essere copiato, riutilizzato e anche venduto, ma a prescindere da tutto deve rimanere aperto. Da qui l’effetto virale che si attribuisce a questa licenza: se dei sorgenti GPL vengono in contatto con un progetto esso diverrà a sua volta GPL. Steve Ballmer in passato non usò mezzi termini e, restando nell’ambito della biologia, definì la licenza GPL « un cancro».

Tuttavia la voglia di vedere come siamo fatti dentro ha ormai preso piede e anche Microsoft deve farci i conti. In quest’ottica a Redmond sono nate le licenze Shared Source di cui due sono ufficialmente Open Source, mentre le altre lo sono solo un po’. Per sfatare il mito sulla proverbiale reticenza all’apertura del codice, Microsoft ha rilasciato sotto la Reference License alcuni componenti del suo runtime .NET. Chi pensa che si tratti di un buon inizio dovrà però stare attento a non sbattere il naso contro l’ennesima barricata: nella licenza è specificato espressamente che il codice si può guardare, ma non se si sta sviluppando qualcosa di simile su una piattaforma diversa da Windows. Seppure non citato espressamente, la licenza sembra essere scritta su misura per Mono, l’implementazione di un runtime .NET a codice aperto e multi piattaforma finanziato da Novell e presente nella maggior parte delle distribuzioni Linux. Una specie di opensource ad personam.

Andando oltre il singolo episodio, l’impegno di Microsoft in operazioni a codice aperto non è solo limitato all’ambito delle proprie Shared Licenses, e negli ultimi tempi sono state presentate molte collaborazioni per lo sviluppo di progetti open source. Dal convertitore tra i formati ODF (usato da OpenOffice) e OOXML (usato da Office 2007) rilasciato sotto la licenza BSD, agli sforzi per l’interoperabilità con JBoss; dalla recente collaborazione con Eclipse, all’ancora più recente lavoro di squadra con lo European system integrator Sourcesense. Quest’ultima collaborazione in particolare, riguarda la creazione di un software Java per rendere più semplice lo sviluppo di programmi opensource in grado di interfacciarsi con il formato OOXML. A tale scopo Microsoft ha donato del codice sorgente alla Apache Software Foundation, tranquillizzando gli sviluppatori: il codice è aperto ma i protocolli sono coperti da alcuni brevetti; chiunque utilizzi il codice per scopi non commerciali non ha nulla da temere, mentre gli altri potranno avere una licenza ad un prezzo ragionevole.

Quest’ultima puntualizzazione ha scatenato l’ira dell’Open Source Initiative, l’organizzazione non profit che, tra le altre cose, si occupa di definire quali licenze possono dirsi Open Source e quali no. Il presidente dell’OSI, Michael Tiemann, ha accusato Microsoft di adattare a proprio uso e costume il significato di Open Source, sottolineando che le restrizioni che Redmont applica all’utilizzo commerciale non sono compatibili con la definizione originale di Open Source (punto 6, per la precisione), e che non si capisce «perchè mai qualcuno dovrebbe pensare che Microsoft stia facendo un favore alla comunità».

Ritornando alle parole pronunciate da Bill Gates in California, di fronte agli studenti dell’università di Berkeley, il fondatore di Microsoft ha le idee ben chiare: la licenza BSD permette alle aziende di integrare il codice all’interno dei propri prodotti e quindi di crearsi un business, mentre la licenza GPL non offre le stesse possibilità e pertanto un’azienda con dipendenti a cui corrispondere dei salari, un’azienda che paga le tasse deve pensarci due volte prima di avvicinarsi alla licenza GNU. Gates quindi esclude la possibilità che una società possa economicamente occuparsi di software a codice aperto: non è tanto una questione di filosofia, ma quanto un problema commerciale. Eppure abbiamo davanti agli occhi degli esempi lampanti di aziende di successo che lavorano su software opensource, rilasciando puntualmente i sorgenti dei loro programmi. Basti pensare a Mozilla Corporation, l’anima commerciale dietro lo sviluppo di Firefox, oppure a RedHat, l’azienda che per prima ha creduto in Linux e che recentemente ha presentato risultati finanziari eccellenti grazie alle consulenze sui propri software, che restano comunque liberamente e gratuitamente utilizzabili da chiunque. E poi ancora aziende più grandi, come IBM e Sun che puntano decise sull’open source, e di certo non lo fanno solo per indispettire Ballmer e soci.

Microsoft resta comunque molto brava a seguire l’odore dei soldi e ad adattarsi di conseguenza. Senza il successo del formato ODF (anche noto come OpenDocument) divenuto uno standard ISO ormai da due anni, non si sarebbe prodigata a fornire le specifiche del proprio formato OOXML e a collaborare per una sua migliore integrazione. In maniera simile ha collaborato con JBoss ed Eclipse proprio perché questi progetti, pur essendo open source, hanno dimostrato di essere commercialmente validi. Ciò si inquadra in un contesto più generale, in cui il software sta cambiando, trasformandosi da prodotto a servizio. Una situazione in cui l’open source sembrerebbe essere in netto vantaggio. Di sicuro c’è che, amichevoli o no, le occasioni di confronto tra Microsoft e open source saranno sempre più frequenti.

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