La filiera è compatta sul modello francese

Il Festival del Film di Roma è l'occasione per raccogliere attorno ad un tavolo "braccia" e "testa" della filiera distributiva dei contenuti digitali. Le parti sono però ancora su versanti lontani: chi auspica la repressione e chi cerca nuovi modelli
Il Festival del Film di Roma è l'occasione per raccogliere attorno ad un tavolo "braccia" e "testa" della filiera distributiva dei contenuti digitali. Le parti sono però ancora su versanti lontani: chi auspica la repressione e chi cerca nuovi modelli

Sotto il simbolo del Festival del Film di Roma si sono riuniti esponenti di FIMI, SIAE, Univideo, ANEC, AGIS (e molte altre associazioni che riuniscono chi si occupa di gestire il diritto d’autore) e i partecipanti alla filiera distributiva audiovisiva al pari di tecnici come Stefano Quintarelli o Leonardo Chiariglione. Tutti allo stesso tavolo, tutti per parlare di diritto d’autore e pirateria.

Lo scopo dichiarato fin dalla presentazione di questi incontri era di cercare di mettere in comunicazione i diversi comparti di chi lavora nell’ambito della vecchia e della nuova distribuzione (il che comprende anche chi i contenuti li produce) ma il problema è stato proprio nel fatto che “testa” e “braccia” non si sono potuti parlare. La suddivisione degli eventi ha infatti fatto sì che in una giornata si concentrasse tutto ciò che orbita intorno alla SIAE e in un’altra (in cui comunque era presente Giorgio Assumma, presidente della SIAE) i tecnici informatici potessero intervenire dopo, e separatamente, rispetto a distributori ed esercenti. Il risultato è stato quindi che i primi non hanno potuto relazionarsi con i secondi i quali, esaurito il loro tempo e il loro spazio, hanno in linea di massima lasciato la sala senza poter ascoltare il parere, le idee, le proposte e quelle che per molti sarebbero state anche le novità avanzate dalla controparte.

Come spesso è già capitato, chi si occupa di fare da “intermediario” tra il produttore di un contenuto e il suo fruitore si preoccupa unicamente di combattere il pirata o la contraffazione, senza pensare o proporre modelli alternativi, impermeabile all’esigenza di mutamento.

«La pirateria è una faccia dell’inciviltà culturale. Chi imbratta i monumenti, chi distrugge le suppellettili delle scuole o chi corre in macchina ubriaco, questi sono i membri della comunità incivile che si dà alla pirateria» ha asserito Assumma; «La situazione non sarebbe migliore se ci fosse uno che strimpella da una parte e uno dall’altra parte che lo ascolta, perchè il lavoro dei distributori convince la gente ad interessarsi a questo prodotto, altrimenti avremmo solo UGC e per fare un film e farlo bene ci vuole tanta professionalità e tanta capacità» ha spiegato invece Davide Rossi di Univideo.

Al contrario Chiariglione, Quintarelli, Pierluigi Del Pino (Microsoft), Juan Carlos De Martin (NEXTA), Elio Molteni (AIPSI) e Gigi Tagliapietra (CLUSIT) hanno avuto modo di spiegare come la rete offra nuove possiblità e renda necessaria una continua rivoluzione dei modelli di business e dei ruoli. Di come molte delle proposte fatte dai primi («filtrare internet», «controllare e bloccare tutti i dati scambiati») siano eresie tecnologiche e potrebbero avere effetti opposti a quelli desiderati. «Ogni volta che si pensa ad una legge per internet se va bene è inefficace, sennò accade l’opposto del desiderato perchè internet non è uno spazio lineare ma multidimensionale» ha riassunto Tagliapietra.

Purtroppo però ad ascoltare queste tesi non erano rimasti gli esponenti più importanti della filiera, le persone da convincere, le “braccia”, coloro i quali dovrebbero fare la differenza. Sono rimaste, invece, solamente le “teste” che studiano, osservano, capiscono e cercano ogni tanto (con piccole compagnie) di fare la differenza.

Le “braccia” hanno sostenuto il modello francese, hanno proposto la criminalizzazione dei singoli privati, hanno sponsorizzato controlli impossibili, ma non hanno risposto alle domande poste sulle realtà come Hulu o MySpace Music che sembrano soddisfare tutti. È sembrato che non ne se ne avesse appropriata conoscenza, è stata svciata la domanda e si è affermato semplicisticamente che trattasi di cose americane. Quando si è affermato che ne potrebbero esistere anche in Italia, la risposta è stata un secco «No» e con qualche insistenza si è strappato un possibilista «e allora ci va bene».

L’unica fortuna è che in tutto questo subbuglio la rete si autoregolamenta: il consumo di contenuti e quindi l’interesse nei loro confronti è in ascesa e nascono continuamente nuove realtà legali la cui offerta e la cui convenienza è tale da fare concorrenza alla pirateria (come nel 2003 cominciò a fare Steve Jobs, uno che fino a quel punto aveva respirato esclusivamente cultura tecnologica e programmazione). Il mercato e le tecnologie sono più avanti del sistema legale e l’impressione è che il comparto che gestisce e cura i diritti d’autore sia anni luce indietro anche rispetto alla già antiquata legislazione odierna.

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