Il diritto d'autore ai tempi di Internet

Secondo il pensiero del guru dell'informatica Joichi Ito, il mondo degli affari dovrebbe prendere maggiormente in considerazione i modelli di sviluppo innovativi portati da Internet e rivedere la regolamentazione sul diritto d'autore
Secondo il pensiero del guru dell'informatica Joichi Ito, il mondo degli affari dovrebbe prendere maggiormente in considerazione i modelli di sviluppo innovativi portati da Internet e rivedere la regolamentazione sul diritto d'autore

L’attuale modello di business basato sul profitto appare sempre meno sostenibile in una realtà odierna ove Internet offre nuove opportunità per la distribuzione e la condivisione dei contenuti. Occorre quindi lavorare per cercare un equilibrio tra il vecchio modo di tutelare e distribuire i contenuti e i nuovi modelli offerti dalla grande rete. Si tratta in sintesi del pensiero di Joichi Ito, vero profeta della nuova era e numero uno del movimento Creative Commons per la riforma del diritto d’autore, da lui espresso in occasione dell’evento “Copyright e Creative Commons. Diritti e poteri sul web” tenutosi a Milano con la moderazione di Massimo Micucci.

Secondo il pensiero di Ito, appare sempre più necessario creare un anello di congiunzione tra il diritto d’autore così come attualmente inteso, ovvero caratterizzato dalla dicitura “Tutti i diritti riservati”, e il pubblico dominio, ovvero l’assenza di copyright. Esistono infatti molte forme intermedie di protezione dei diritti d’autore: ad esempio, un musicista potrebbe voler tutelare la propria opera solamente all’interno del proprio paese, oppure lasciare ampia libertà per quanto riguarda il riutilizzo di alcune sue parti all’interno di lavori altrui. In definitiva, l’artista dovrebbe poter scegliere quali diritti concedere e a chi.

È proprio su tali basi che si fonda la licenza Creative Commons, offrendo sei distinte articolazioni dei diritti d’autore, che spaziano dalla più restrittiva alla più accomodante. L’autore che decide di proteggere le proprie opere attraverso il paradigma “Alcuni diritti riservati”, viene quindi chiamato a considerare quali aspetti del proprio lavoro preservare, come ad esempio l’attribuzione della paternità, la possibilità di creare opere derivate o l’utilizzo commerciale dell’opera.

Le sei diverse licenze permettono in definitiva di proteggere i diritti del proprio lavoro pur lasciando un margine di libertà per quanto riguarda il riutilizzo e la condivisione da parte di terzi.

È però questa una filosofia di pensiero che si scontra fortemente con le attuali normative sul diritto d’autore, motivo per il quale alla discussione ha partecipato anche Giorgio Assumma, presidente Siae, Società Italiana Autori e Editori. Una visione, la sua, notevolmente distante da quanto espresso da Ito: secondo Assumma, Internet non dovrebbe essere visto come una sorta di paradiso, ove tutto ciò che si vede è gratis. Il problema della remunerazione degli artisti resta il punto cruciale della questione e l’ampliamento del mercato ottenuto grazie a Internet rende difficile ricondurre questo valore extra al diritto d’autore; a guadagnarci sarebbero infatti soprattutto i provider che vendono la connessione, mentre gli autori avrebbero percepito quest’anno il 30% in meno di provvigione.

A bilanciare il surreale braccio di ferro tra i due universi a confronto, Joichi Ito ha ricordato come Internet non rappresenti a tutt’oggi un modello perfettamente efficiente, pur trattandosi di una realtà che deve essere protetta e preservata. Il processo di crescita e sviluppo di Internet è lungo e pieno di ostacoli da superare, ci vorrà tempo per riuscire a svilupparne tutto il potenziale, abbattendo così le barriere del divario digitale. Ito paragona Internet al corpo umano: «ha un sistema immunitario che deve imparare a guarire dalle malattie, non c’è una pianificazione centralizzata, ci sono batteri e germi che circolano, ci si ammala e si guarisce sviluppando anticorpi, ingerendo le medicine giuste, migliorando il proprio DNA». Gli hacker rappresenterebbero i germi del sistema, pur avendo la funzione di evidenziarne problemi e limiti, come la perdita della privacy e l’attaccamento al copyright da parte delle vecchie lobby industriali, incapaci di trovare i modelli di business in grado di adattarsi al nostro periodo storico.

In ultima analisi, creare modelli di business che funzionano grazie alla condivisione, non vuol dire danneggiare necessariamente l’economia, semmai il contrario; naturalmente Internet ha i suoi limiti e i suoi difetti, ma «nessuno aspira a un modello come quello cinese, dove sì magari l’efficienza è maggiore perché non c’è discussione, ma a scapito dei diritti umani».

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