Rapelay riesuma l'emendamento D'Alia

Rapelay è un videogioco in cui per vincere occorre stuprare personaggi femminili. Messo al bando, il gioco è però disponibile al download in Rete. Immediata la censura politica, con il senatore D'Alia a rivendicare però la bontà del respinto art.60
Rapelay è un videogioco in cui per vincere occorre stuprare personaggi femminili. Messo al bando, il gioco è però disponibile al download in Rete. Immediata la censura politica, con il senatore D'Alia a rivendicare però la bontà del respinto art.60

Non è bastata la bocciatura della Rete. Non sono bastati gli incontri chiarificatori. Non è bastato il controemendamento votato dal Parlamento. Il senatore Gianpiero D’Alia, infatti, continua a portare avanti la propria battaglia ed in alcune recenti dichiarazioni ha lasciato intendere tutta la propria amarezza per la bocciatura della sua proposta. Va ricordato, infatti, come la proposta D’Alia si basasse sul principio della chiusura di siti web ove si fosse riscontrato un reato, ponendo così sulla Rete una scure il cui controllo e la cui entità stessa hanno però sollevato immediato polverone.

Nei giorni scorsi, dopo lungo dibattere, la proposta D’Alia è stata abolita. I detrattori non hanno però tardato a farsi sentire ed ora è lo stesso D’Alia a tornare sull’argomento: «Con la mia norma contro l’istigazione a delinquere in rete, lo squallido videogioco Rapelay, dove vince chi stupra di più, sarebbe stato immediatamente bloccato: invece, grazie all’onorevole Cassinelli e alla maggioranza, che hanno emendato la mia proposta dal pacchetto sicurezza per paura di scomodare qualche lobby, questo videogioco resterà a disposizione di grandi e piccini ancora per lungo tempo’».

Al centro delle attenzioni di D’Alia v’è il gioco Rapelay, un “simulatore di stupri” ove il protagonista impersona un maniaco sessuale il cui obiettivo è facilmente identificabile in una serie di personaggi femminili. Il gioco, la cui distribuzione è stata vietata, è però disponibile al download in Rete. Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunità per il Popolo delle Libertà, è la prima a puntare il dito contro la Rete appoggiando così le posizioni del Moige nel definire Rapelay una «aberrazione»: «Chiedo pertanto alle autorità competenti di attivarsi, anche presso i motori di ricerca, perché questo passatempo orribile e delinquenziale venga messo al bando. Nella lotta contro la violenza sulle donne occorre che tutti facciano la loro parte in modo responsabile».

Le dichiarazioni di D’Alia seguono evidentemente stessa linea d’onda, strumentalizzando la vicenda specifica per rivendicare le velleità censorie della propria proposta antecedente. Il senatore lasciava trapelare la propria filosofia già nei giorni scorsi quando, in occasione della Giornata contro la Pedofilia organizzata da Luca Barbareschi, dichiarava: «Nella rete, nonostante le normative antipedofilia già in vigore, resta ancora in piedi un muro di omertà dietro cui gli orchi si celano in nome di una discutibile libertà di espressione, trovando nuovi compagni di merende. Questo muro va abbattuto, e ci deve pensare la politica». Gli intenti bellicosi emergono in una evidente alleanza con lo stesso Barbareschi, già a suo tempo fautore di una proposta di legge immediatamente avversata per gli effetti collaterali che avrebbe potuto scatenare per la libertà di espressione sul web.

La risposta a D’Alia giunge però immediata ed a firma di chi, con una proposta oppositiva prima e con l’affondamento dell’emendamento originario poi, ha nel frattempo raccolto consensi tanto dalla “base” quanto da un coro di esperti che si è espresso nel frattempo.

Spiega infatti Roberto Cassinelli, peraltro anch’esso militante tra le fila del Popolo delle Libertà, partendo espressamente dal caso sul quale si è espresso il collega dell’UDC: «è evidente che il senatore D’Alia non ha letto il testo del suo emendamento, o forse non l’ha capito. […] videogiochi come Rapelay andrebbero censurati e tolti dal commercio, ma con l’articolo di cui ho proposto l’abrogazione, approvata dalla Camera, non hanno nulla a che fare. Il testo del senatore D’Alia prevedeva la possibilità di filtrare i siti web in cui comparissero istigazioni a delinquere o apologie di reato: è sufficiente una conoscenza elementare delle nuove tecnologie per capire che non è il caso di Rapelay, che non è un sito internet ma un software applicativo da installare sul proprio computer, che in alcuni Paesi viene anche distribuito su CD. È vero che si può anche scaricare da internet, ma mi pare davvero difficile trovare gli estremi di una istigazione a delinquere all’interno di un sito che mette a disposizione un file eseguibile da salvare ed installare sul proprio PC».

Inoltre: «tutti i gruppi, e non solo la maggioranza, hanno votato a favore dell’abrogazione del testo del senatore D’Alia: solo l’Udc ha proposto un emendamento alternativo che però non avrebbe risolto alcun problema. Per questo i ripetuti attacchi del partito di Casini sono davvero incomprensibili. Eliminando l’articolo 60 non abbiamo accontentato alcuna lobby, ma abbiamo evitato che l’Italia si facesse deridere dal mondo per l’introduzione di una norma giuridicamente e tecnicamente raccapricciante, che avrebbe soffocato lo sviluppo della rete ed inchiodato il nostro Paese ad un futuro retrogrado».

Ma il caso, con tutta evidenza, non è chiuso.

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