Webtax fermata dal Ministero del Tesoro

L'idea della partita iva alle multinazionali si può dire ormai cancellata. La questione, però, non è finita. Anche perché è giusta.
L'idea della partita iva alle multinazionali si può dire ormai cancellata. La questione, però, non è finita. Anche perché è giusta.

Addio webtax. La proposta di legare i servizi online a una partita iva italiana per tutte le società che operano nel paese, meglio nota come webtax o “Google Tax” perché ideata per recuperare parte del gettito fiscale evitato (lecitamente) dalle multinazionali della Rete, è ormai sepolta sotto una montagna di critiche. La vicenda può dirsi chiusa a questo punto per la presa di posizione del Tesoro.

La vicenda webtax sta assumendo i contorni di un dramma politico per Francesco Boccia, il deputato democratico quasi eroe solitario nella sua ostinata difesa della proposta che, cancellata dal Senato, ha ripreso alla Commissione Bilancio da lui presieduta in sede di discussione della legge di stabilità. L’argomento è noto e del più grande interesse: l’Unione Europea ha inopinatamente permesso a numerose multinazionali una elusione fiscale di fatto, dell’ordine di mille miliardi di euro. Per evitare doppie o triple tassazioni Breuxelles ha emanato nei primi anni ’90 una direttiva di cui ora si approfitta, sfruttando le condizioni più leggere di Irlanda e Lussemburgo, per attuare un profit shifting, lo slittamento dell’imponibile su una base più leggera a dispetto delle reali attività della società.

Nonostante le molte critiche e pressioni, Boccia ha commentato soltanto pochi giorni fa la notizia secondo la quale Netflix, in Francia, ha dovuto aprire una partita iva e sottostare alla regola dell’exception culturelle, per cui queste aziende contribuiscono al finanziamento statale all’editoria.

Tutto questo dimostra che quello della produzione del valore nella cosiddetta economia digitale è un campo in cui l’Ue è in un ritardo spaventoso e i flussi finanziari che ogni giorno perdono i singoli Stati membri si sommano alla perdita di gettito fiscale. (…) La proposta francese di imporre l’Iva è in linea con la nostra proposta che vedrà la luce nella legge di stabilità che ci apprestiamo a votare prima in commissione e poi in Aula con diversi emendamenti.

Il Tesoro stoppa tutto

La proposta che Boccia dava ancora per fatta lo scorso 5 dicembre, aveva cercato di risolvere parte del problema inventandosi una obbligatorietà di apertura della p.iva che però solleva molte eccezioni. Non solo alcune aziende hanno già una partita iva nazionale (Amazon, ad esempio), ma l’assenza di una cornice europea ha sempre lasciato molto perplessi i commentatori e anche gli esperti del ministero del Tesoro, preoccupati di non incappare in una ennesima infrazione europea e persuasi anche da una forte azione di lobby della American Chamber (come anticipato sabato da Webnews). È stato perciò tutto fermato e annunciato da uno dei più convinti critici della webtax, Guido Scorza:

Soltanto Bruxelles può intervenire

La baraonda di critiche ai sostenitori di questa proposta è spesso molto superficiale. Basta leggere i commenti agli articoli sui grandi quotidiani per intuire che molte persone non comprendono come si tratti di denaro sottratto a politiche comunitarie e che c’è qualcosa che non va quando a fronte di un miliardo di introiti si paga un milione di tasse. Dunque sfugge l’importanza del problema e purtroppo non bastano le buone intenzioni. Per il momento bisogna saper attendere la Commissione Europea, che ha già messo sotto la lente di ingrandimento i colossi della Rete, ammettendo implicitamente che l’elusione fiscale esiste eccome e che è infondato l’argomento secondo il quale una qualunque revisione della tassazione su queste aziende avrebbe effetti negativi sull’economia e sull’occupazione.

Vero, invece, che questa insistenza può ingenerare delle frizioni con Destinazione Italia, il progetto di attrattività dall’estero firmato dal governo. Finché non ci sarà un intervento a livello europeo, sarà quasi impossibile trovare una soluzione autonoma ed efficace. Anche se le proposte non mancano e sempre dagli stessi fautori. Fra gli oltre tremila emendamenti alla legge di stabilità, infatti, è spuntata anche una nuova proposta che interviene sulle imposte dirette. Sarà antieuropea anche questa?

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