Chrome registra ancora i risultati in incognito

Stando a una ricerca di DuckDuckGo, Chrome salverebbe ancora molti dei risultati della navigazione nella modalità incognito, mettendo a rischio la privacy.
Stando a una ricerca di DuckDuckGo, Chrome salverebbe ancora molti dei risultati della navigazione nella modalità incognito, mettendo a rischio la privacy.

Probabilmente non saremmo mai venuti a conoscenza di DuckDuckGo se non fosse stato per il Datagate. Da quel momento però, con le dichiarazioni di Edward Snowden, la compagnia americana ha avviato un iter pubblicitario che l’ha portata a imporsi agli onori della cronaca come vero browser rispettoso della privacy degli utenti. In che modo? Prima di tutto grazie a una serie di trasmissioni crittografate che non permettono a nessuno, nemmeno allo stesso team di rintracciare chi è andato dove, a visitare quali siti o a fruire di certi servizi. Così, anche gli organi di controllo, che spesso obbligano le compagnie a collaborare, hanno ben poco da chiedere alla piattaforma, che fa solo da ponte visuale alla navigazione delle persone.

Ebbene, il lavoro di DuckDuckGo si concentra non solo nell’utilizzo software da parte dei navigatori ma anche verso una migliore comprensione di ciò che fanno gli altri, per sottolineare differenze e vari modus operandi. E così, uno studio condotto dal motore di ricerca sostiene, nello specifico, che il concorrente Google personalizza i risultati di indipendentemente dal fatto che l’utente abbia effettuato l’accesso o meno oppure usi la modalità in incognito. Il problema è indicato come “filter bubble”, già noto per indicare le operazioni di filtraggio che il gigante mette in atto in base alle persone che navigano in rete. Ecco uno spezzone del report:

La maggior parte delle persone si aspetta che la modalità “incognito” serva per dare il giusto anonimato alla navigazione. Sfortunatamente, si tratta di un malinteso comune, dato che i siti web utilizzano sempre gli indirizzi IP e le impronte digitali del browser per identificare le identità, anche quando sono in privato.

Questo è il secondo rapporto nel giro di sei mesi che chiede a Google di chiarire il ruolo della modalità di navigazione in incognito. La rivelazione potrebbe avere ripercussioni, soprattutto in Europa, dove il Gdpr pare aver cambiato un po’ i rapporti di forza tra clienti e big company del web. Del resto, quando si dice “incognito” gli individui si mettono nella testa dei concetti che, come sembra, poi non si verificano. Inutile allora continuare su strade del genere se la realtà delle cose  ben lontana dalle promesse.

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