A ritmo di bit

Il V-Day è un fenomeno troppo complesso per esaurirsi in un giudizio univoco. Ma una legame è innegabile: il V-Day vive su dinamiche saldamente legate al web e alla cultura partecipativa. La tendenza, oggi ai primi bagliori, potrebbe essere irreversibile
Il V-Day è un fenomeno troppo complesso per esaurirsi in un giudizio univoco. Ma una legame è innegabile: il V-Day vive su dinamiche saldamente legate al web e alla cultura partecipativa. La tendenza, oggi ai primi bagliori, potrebbe essere irreversibile

In un modo o nell’altro, è impossibile non affrontare l’argomento. Non ho voluto farlo di getto, perchè la cosa è troppo complessa per poter essere affrontata a caldo. Se arrivo in ritardo poco importa: del V-Day ne voglio ancora parlare.

Dare una sentenza univoca e onnicomprensiva sull’evento organizzato da Beppe Grillo è pressochè impossibile. La disomogeneità dei giudizi che le varie analisi hanno espresso è tanta e tale soprattutto per due motivi: 1) i giudizi partivano da saldi pregiudizi (in un senso o nell’altro: a favore o contro) e 2) i giudizi erano rivolti a sfaccettature completamente diverse del fenomeno.

Due sfaccettature, solo due su tante:

Risvolto politico
La politica e tutto il suo entourage giornalistico si è schierata contro Grillo. E lo ha fatto con una intelligenza raffinata: non scagliandosi rumorosamente contro il comico, ma facendo passare sotto silenzio una manifestazione che, invece, ha avuto pochi precedenti negli ultimi decenni. Il silenzio è stato l’arma mediatica del “sistema” e la cosa ha un suo significato molto preciso: è il “sistema” a stabilire ciò di cui la popolazione deve discutere. Per imporre un tema è sufficiente parlarne, massicciamente, sui giornali e sulle tv nazionali. Lo si cala a pioggia dall’alto e si “bagna” l’opinione pubblica di dati e immagini ad hoc. È un meccanismo noto da tempo immemorabile, meccanismo che ha fatto la fortuna politica di chi l’ha saputo manovrare: non si tratta di parlare bene o male di una cosa, l’importante è parlarne. Così si impongono i temi, così si creano le esigenze, così si creano i desideri a cui poi la politica venderà le proprie soluzioni. Così, insomma, si pilota l’opinione pubblica: creando un’opinione e propinandola al pubblico.

Ad oggi il giudizio politico sulla manifestazione deve giocoforza rimanere sospeso: la raccolta firme porterà la proposta in parlamento e l’esito del tutto sarà una sentenza inappellabile. Il giudizio è lasciato nelle mani dei “colpevoli”, di quei politici a cui il V-day ha lanciato un segno inequivocabile. Risulta quantomeno fantasioso pensare a 600 “tafazzi” che si autoinfliggono una condanna etica approvando le tre norme proposte da Grillo, ma in qualche modo un appello firmato da migliaia di cittadini dovrà essere accolto. Un gesto simbolico è attendibile, una rivoluzione no.

Grillo, nel frattempo, ha già fatto il passo successivo: una lista civica nazionale, a cui le liste locali potrebbero aggregarsi, il tutto trovando nel web il mezzo preferenziale di organizzazione e collaborazione. Ancora una volta il mezzo viene a legarsi inestricabilmente al fine.

Risvolto sociale
Si potrebbe discutere per anni sul significato di “blog”. Ci si potrebbe spellare vivi per capire se Beppe Grillo sia un blogger o meno. Ci si potrebbe prendere per i capelli per decidere se il suo sia web partecipativo o no. Ma non è questo il punto, lasciamo il dibattito ai puristi. La verità più importante è la più semplice: centinaia di migliaia di persone, organizzatesi tramite il web, si sono trovate in piazza per fare qualcosa tutte assieme. Avevano bisogno di vedersi, toccarsi, parlare. Urlare, anche: farsi sentire, farsi toccare, farsi vedere. Ci siamo, siamo qui, siamo in tanti.

Ricordate quando furono organizzate in alcune piazze quelle guerre con i cuscini? La cosa era stata organizzata sul web, poi tutti si sono trovati in piazza con un cuscino. E giù bordate. Le costanti sono le stesse: ci si incontra in rete e ci si da appuntamento in piazza. E si fa tutto il baccano possibile. “Organizzati sul web” non significa certo che il web ha fatto tutto da sè: il passaparola è un complemento naturale che estende l’informazione “dal basso” portandola capillarmente nelle case, negli uffici, tra le famiglie e tra i gruppi di amici. Il web rappresenta semplicemente una fonte di informazione opposta alla pioggia dall’alto dei canali mainstream, dopodichè è nella vita di tutti i giorni che i concetti, gli appuntamenti e le idee si trapassano di bocca in bocca.

L’utenza della rete è come un profumo: la senti, ma nè la tocchi nè la vedi. Svanisce se non c’è un qualcosa a contenerla e a raccoglierla: in breve si dissolve in tanti bit, ma quando si espande lascia la scia. È un dolce profumo a cui si da un nome per identificarlo in qualche modo, perchè non ha corpo. La piazza, invece, da sempre è soprattutto fisicità. Lì tutto è estremamente concreto e la massa assurge ad identità propria che si fa forza sulla sua improvvisa materializzazione. Si tratta spesso di un percorso pericoloso, ma non in questo caso: educazione e ordine sono state regole assolute, tutto è andato a compimento senza il minimo incidente. Ma la massa, quando si concretizza, fa sempre e comunque male: perchè materializza, oltre che una presenza, quel profumo che aleggia normalmente con le idee.

Il web, nuovamente, ha fatto da catalizzatore. Poi, però, c’è stato quell’istinto irrefrenabile alla discesa in piazza. Da sempre è così, forse forse il web si è solo inserito in un meccanismo inciso ormai nel nostro DNA di esseri umani, o forse le piazze sono davvero un luogo elettivo di rivolta.

E poi ti dicono: “Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera”
Ma è solo un modo per convincerti
a restare chiuso dentro casa quando viene la sera;
però la storia non si ferma davvero davanti a un portone
La storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi.
Siamo noi che scriviamo le lettere…

E se non son più lettere, oggi sono post, blog, trackback. Quello che passerà alla storia sarà un macro-significato: un comico ha sollevato una protesta molto partecipata che ha stuzzicato i “palazzi” e ha ribadito l’importanza di un senso etico della politica. Demagogismo, populismo, rivoluzione, qualunquismo: ognuno legga la cosa come meglio gli pare. Quello che però forse è il risultato più concreto è un altro: per la prima volta il web ha dato un chiaro segno di presenza, di influenza sull’opinione e di capacità organizzativa. I blog, le mappe, i trackback, i link hanno fatto sistema ed hanno saputo creare qualcosa sconfiggendo il silenzio imposto dai media “di regime” (direbbe qualcuno).

Il potere sovversivo dei mezzi di comunicazione non fa che ripetersi, riproporsi, riconfermarsi. È nella loro natura, perchè la loro natura è legata alla nostra. E «la storia siamo noi». Gutemberg ha contribuito a cancellare la messa in latino. La radio ha unito il popolo americano attorno al focolare della sua presidenza. La televisione ha imposto un nuovo modo di far politica, imponendo la comunicazione come arma fondamentale. Internet, la giovane Internet, qui per ora ha partorito il V-Day. Per poco o tanto che sia.

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