La crisi di Yahoo!

Le dimissioni dell'amministratore delegato Tim Koogle sono solo l'ultimo atto della crisi che ha investito Yahoo!, una della società simbolo della rete. E c'è già chi parla di una possibile acquisizione.
Le dimissioni dell'amministratore delegato Tim Koogle sono solo l'ultimo atto della crisi che ha investito Yahoo!, una della società simbolo della rete. E c'è già chi parla di una possibile acquisizione.

Per la borsa, la settimana appena cominciata si è aperta sotto i peggiori auspici. Come ormai accade più o meno regolarmente, a trainare la corsa al ribasso, come in altri periodi a trainarla al rialzo, sono stati soprattutto i titoli tecnologici: il Numtel (l’indice del Nuovo mercato) intorno all’una di ieri segnava un – 3% e il Nasdaq, dopo aver chiuso col venerdì precedente un’ennesima settimana nera, alla stessa ora perdeva il 3,33%. Nemmeno le piazze asiatiche sembrano sfuggire all’ondata nera. Per convincersene basta pensare che la borsa di Tokio ha toccato ieri il suo minimo storico: mai così in basso da 15 anni a questa parte.

Non è certo un mistero per nessuno che ormai da diversi mesi la Net Economy, dopo anni di exploit borsistici da capogiro, abbia fortemente rallentato la sua corsa, al punto che più di un’analista ha già da tempo cominciato a sbandierare, specie negli USA, il temutissimo spauracchio di una recessione imminente il cui epicentro sarebbe questa volta proprio la New Economy. In realtà, ammoniscono gli osservatori più avvertiti, un rallentamento del genere era ampiamente prevedibile, ed anzi il fatto che non si sia manifestato come un vero e proprio crollo, ma abbia assunto la forma assai più rassicurante di una serie successiva di “piccole” scosse di assestamento, va senza dubbio interpretato come un fatto positivo.

Del resto, la crisi di molte dotcom non vuol dire affatto che sia in crisi tutta la New Economy. E se crisi c’è, si tratta quasi certamente di una crisi di assestamento, se non addirittura di crescenza. È comunque “logico” che in momenti come questi i prezzi più alti vengano pagati dalle società più fragili, quelle senza grandi capitali alle spalle o prive di legami con le strutture meno dinamiche ma più solide della Old Economy.

In questo quadro e con queste premesse, colpisce come una sorprendente anomalia quanto sta accadendo a Yahoo!, una delle aziende simbolo di tutta la rete. Nata nel 1994 grazie alla fortunata intraprendenza di due studenti universitari e capace di realizzare in pochi anni giri d’affari miliardari, Yahoo! ha imboccato da mesi una pericolosa parabola discendente culminata con le dimissioni del suo amministratore delegato: Tim Koogle. Le previsioni di gennaio, che parlavano per il primo trimestre di un fatturato variabile dai 220 ai 240 milioni di dollari, si sono rivelate tristemente inesatte, e ora l’azienda non spera di andare oltre i 170/180 milioni di dollari.

Ma a testimonianza del fatto che una sola rondine non fa primavera, come del fatto che il “crollo” di un’unica azienda, sia pure prestigiosa come Yahoo!, non significa il crollo di un intero mercato, valgono le voci sempre più insistenti che ipotizzano l’acquisizione di Yahoo! da parte di un’altra società. I nomi più gettonati sono tutti di grande risonanza: si va da Vivendi-Universal a Bartelsmann, da Disney a Viacom, da Deutschetelecom a Vodafone fino alla Microsoft di Bill Gates, che potrebbe puntare in questo modo a dare vita all’unica net-company in grado di competere con Aol-Time Warner

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