Una scoperta straordinaria potrebbe trasformare radicalmente il modo in cui proteggiamo gli astronauti dalle radiazioni cosmiche: funghi melanizzati trovati a Chernobyl, capaci di prosperare nell’ambiente più radioattivo del pianeta, dimostrano una resistenza impressionante ai raggi cosmici e potrebbero presto diventare i “mattoni biologici” delle future basi extraterrestri lunari e marziane. Questa soluzione innovativa promette di ridurre drasticamente i costi di costruzione nello spazio, eliminando la necessità di trasportare materiali pesanti dalla Terra e rappresentando una vera e propria rivoluzione per le missioni spaziali future.
La ricerca di Zhdanova rivelò la presenza di trentina di specie fungine accomunate da un tratto distintivo: un’eccezionale concentrazione di melanina, la stessa molecola che colora la pelle umana. Questi funghi non solo sopravvivevano nelle condizioni estreme di Chernobyl, ma mostravano un comportamento sorprendente: crescevano orientandosi verso le fonti di radiazione, un fenomeno definito radiotropico che affascinò immediatamente la comunità scientifica internazionale.
Nel 2007, la scienziata nucleare Ekaterina Dadachova dell’Albert Einstein College of Medicine portò la ricerca a un livello completamente nuovo. Scoprì che i funghi non si limitavano a tollerare le radiazioni: le utilizzavano come fonte energetica. Esposti al cesio radioattivo, crescevano fino al 10% più velocemente rispetto ai funghi di controllo, trasformando l’energia radiativa in biomassa e dimostrando un meccanismo biologico senza precedenti di protezione radiazioni.
Tra tutte le specie studiate, il Cladosporium sphaerospermum si è rivelato eccezionale. Nel 2022, campioni di questo fungo di Chernobyl inviati sulla Stazione Spaziale Internazionale hanno registrato una crescita 1,21 volte superiore rispetto ai controlli terrestri, mantenendo una resistenza straordinaria alle radiazioni cosmiche galattiche. Questi dati hanno catturato l’attenzione della comunità scientifica internazionale e dell’industria aerospaziale, aprendo prospettive completamente nuove per l’avvenire.
La visione proposta da Lynn Rothschild, astrobiologa della NASA, è tanto audace quanto rivoluzionaria: costruire le future basi spaziali utilizzando questi funghi in una forma di micoarchitettura. I muri e gli arredi potrebbero essere coltivati direttamente sulla Luna o su Marte, crescendo in situ e fornendo uno scudo biologico dalle radiazioni, mentre i materiali tradizionali come l’acqua, il polietilene e il metallo risulterebbero troppo pesanti per il trasporto spaziale e insostenibili economicamente.
Questa concezione rappresenta una delle più affascinanti applicazioni della biologia sintetica e dell’ingegneria biologica nel contesto dell’esplorazione spaziale contemporanea. Il concetto di utilizzare organismi viventi come materiali da costruzione costituisce un salto paradigmatico nella nostra comprensione delle possibilità costruttive nello spazio.
Sebbene i meccanismi esatti di questa crescita accelerata rimangono ancora oggetto di studio approfondito, la prospettiva di sfruttare questi funghi rappresenta una delle soluzioni più promettenti per il futuro dell’esplorazione spaziale. Un paradosso affascinante: il disastro nucleare di Chernobyl potrebbe aver generato i nostri migliori alleati per conquistare lo spazio e costruire un futuro sostenibile per l’umanità oltre i confini terrestri.
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