Possiamo far rivivere il mammut? La scoperta dell’RNA riaccende il dibattito

Ricercatori svedesi hanno isolato l'Rna più antico del mondo da un mammut conservato nel permafrost. Una scoperta rivoluzionaria che apre nuove prospettive sulla de-estinzione e la biologia antica.
Ricercatori svedesi hanno isolato l'Rna più antico del mondo da un mammut conservato nel permafrost. Una scoperta rivoluzionaria che apre nuove prospettive sulla de-estinzione e la biologia antica.
Possiamo far rivivere il mammut? La scoperta dell’RNA riaccende il dibattito

Una scoperta straordinaria proviene dai laboratori della Stockholm University e del Centre for Palaeogenetics, dove i ricercatori hanno compiuto un balzo rivoluzionario nella biologia antica. Dall’esemplare di mammut lanoso denominato “Yuka”, perfettamente conservato nel permafrost siberiano, sono state estratte e analizzate molecole di RNA antico. Un risultato pubblicato su Cell rivista che rappresenta non solo il recupero della più antica molecola di RNA mai documentata, ma anche una pietra miliare nel dibattito contemporaneo sui progetti di de-estinzione e sulla possibilità di resuscitare specie estinte.

Una sfida alle conoscenze consolidate

Fino ad oggi, i ricercatori consideravano l’RNA antico una molecola troppo fragile e instabile per sopravvivere oltre poche migliaia di anni. La scoperta sorprende persino gli esperti internazionali: le condizioni estreme del permafrost siberiano hanno preservato questo materiale biologico in modo straordinario, rivelando un potenziale di conservazione finora sottovalutato e inaspettato. Questo dato assume importanza cruciale perché l’RNA, a differenza del DNA che rappresenta il “progetto” genetico statico, comunica quali geni fossero realmente attivati al momento della morte dell’animale. In questo modo, fornisce una finestra privilegiata sul suo stato fisiologico effettivo, permettendo di comprendere aspetti biologici che il materiale genetico tradizionale non potrebbe svelare completamente.

Applicazioni concrete in biologia e ingegneria genetica

La ricerca apre applicazioni concrete su due fronti paralleli particolarmente affascinanti. Da una parte permette di comprendere caratteristiche biologiche specifiche del mammut lanoso – la struttura del pelo, la termoregolazione, l’accumulo adiposo – che il solo materiale genetico non potrebbe rivelare completamente. Questi dati rappresentano una risorsa inestimabile per gli studiosi di paleontologia e biologia evolutiva.

Dall’altra parte, questa ricerca alimenta concretamente i progetti già avviati da diverse aziende biotech per creare “mammut ibridi” mediante l’inserimento di tratti genetici del mammut lanoso negli elefanti asiatici, fornendo a queste iniziative di ingegneria genetica una base scientifica decisamente più solida e affidabile. L’approccio non contempla una vera clonazione nel senso tradizionale, ma piuttosto un’ibridazione genetica sofisticata che potrebbe generare creature straordinarie.

Le questioni etiche e ambientali

Eppure il ritrovamento solleva interrogativi che vanno oltre la semplice fattibilità tecnica e toccano aspetti fondamentali della responsabilità scientifica. Come accoglierebbe un ecosistema moderno un animale estinto da millenni? Quali rischi ecologici comporterebbe la reintroduzione di una specie estinta negli ambienti contemporanei? Come affrontare gli aspetti etici della ricreazione di una specie? Sono domande cruciali che toccano la responsabilità ambientale e scientifica della comunità internazionale.

Queste questioni rimangono senza risposta certa nel panorama scientifico attuale, ma diventano ogni giorno più urgenti e inevitabili. Il progresso nella biologia antica ci pone di fronte a scelte che non possiamo più rimandare, sfidando il nostro concetto stesso di conservazione biologica e di intervento umano negli equilibri naturali.

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