TTIP

La Commissione Europea è impegnata a negoziare un accordo commerciale con gli Stati Uniti, noto come partenariato transatlantico su commercio e investimenti o TTIP (ossia “Transatlantic Trade and Investment Partnership”). Da questo accordo dovrebbe nascere un mercato unico nel quale lo scambio delle merci dovrebbe essere facilitato e i costi abbattuti. Ciò alimenterebbe l’export, a tutto vantaggio anche del Made in Italy, ma al tempo stesso crescono i timori per un possibile compromesso al ribasso che ridurrebbe l’attenzione sulla qualità e sui prodotti tipici che costituiscono, soprattutto per l’Italia, un valore economico irrinunciabile. Alla natura commerciale del patto si contrappongono quindi questioni di principio e di identità, il che ha portato il dibattito a costruire una forte contrapposizione che nasce dalla scarsa trasparenza sulle trattative in corso.

La Commissione Europea è impegnata a negoziare un accordo commerciale con gli Stati Uniti, noto come partenariato transatlantico su commercio e investimenti o TTIP (ossia “Transatlantic Trade and Investment Partnership”). Da questo accordo dovrebbe nascere un mercato unico nel quale lo scambio delle merci dovrebbe essere facilitato e i costi abbattuti. Ciò alimenterebbe l’export, a tutto vantaggio anche del Made in Italy, ma al tempo stesso crescono i timori per un possibile compromesso al ribasso che ridurrebbe l’attenzione sulla qualità e sui prodotti tipici che costituiscono, soprattutto per l’Italia, un valore economico irrinunciabile. Alla natura commerciale del patto si contrappongono quindi questioni di principio e di identità, il che ha portato il dibattito a costruire una forte contrapposizione che nasce dalla scarsa trasparenza sulle trattative in corso.

Il TTIP è un accordo commerciale negoziato dalla Commissione Europea tra Stati Uniti ed Europa che punta a ridurre dazi, tariffe e ostacoli di varia natura negli scambi di beni e servizi tra i due continenti. Il parternariato transatlantico su commercio e investimenti è un FTA (leggasi: accordo di libero scambio), uno dei tanti che in tutto il mondo, e non da oggi, si firmano per migliorare gli scambi commerciali tra nazioni e sistemi amici. Eppure il TTIP sembra essere degno di particolari attenzioni e timori, se non altro per la scarsa trasparenza iniziale e perché coinvolge sentimenti che variano dal razionale all’irrazionale, andando oltre la semplice natura economica per sconfinare nella questione di principio e di identità. Cosa dice, veramente, il TTIP? E a chi converrebbe se fosse approvato?

TTIP, trattativa infinita

Non si è mai parlato tanto di un accordo di tipo commerciale prima del TTIP. Basterebbe un solo esempio per dimostrarlo: nessuno sa che l’Italia ha ormai approvato in versione definitiva un accordo omologo con il Canada, il CETA, che è la fotocopia di quello in discussione con gli Stati Uniti. Sarà che gli States sono patria di gran parte delle multinazionali, o forse perché se ne è parlato troppo poco prima del leak di Greenpeace che ha svelato alcuni particolari; fatto sta che questo trattato EU-USA, lungi dall’essere approvato e giunto ormai a metà 2016 al 14° round di negoziati, ha subito assunto una dimensione misteriosa rientrando nell’aura delle tesi complottistiche che facilmente hanno attecchito e alzato il rumore attorno alla questione.

Comunque sia, in realtà in questi mesi del TTIP si è letto tutto quanto è possibile leggere e il neoministro del governo italiano, Calenda, ha di recente annunciato una reading room per i parlamentari istituita al ministero dello Sviluppo economico in segno di ancora maggiore trasparenza. Su questa decisione ha esultato SlowFood, che per voce del suo fondatore Carlin Petrini ha immediatamente puntato il dito contro il trattato condannandone la natura commerciale e l’abbattimento delle tutele per gran parte delle ricchezze italiane nel mondo dell’enogastronomia; consegnare alla politica documenti frutto di trattative avanzate non è contentino che possa bastare al partito del “No”, dal quale giungono pertanto promesse che garantiscono strenua battaglia per un documento che sulla sua strada ha ancora non pochi ostacoli.

Ma il centro della questione ormai è un altro, ossia il dovere di comprendere se questo trattato possa davvero raggiungere i suoi obiettivi e con quali costi rispetto ai benefici. Non è questione di “si” o di “no”, ma di “come” e di chi avrà voce nella definizione dei dettagli. Partendo dalla trasparenza nei documenti e nelle procedure, condizione per il ripristino della serenità attorno al dibattito in corso.

Due visioni a confronto

Secondo i sostenitori del trattato, il TTIP stimolerà la crescita economica, incrementerà l’occupazione e accrescerà la leadership europea nel commercio mondiale nell’ambito di una sfida globale contro l’Asia (cioè Russia, Cina e India, che potrebbero firmare accordi simili con molti meno scrupoli politici). I detrattori, invece, hanno notato che alcune norme, dentro i lunghi e complessi 24 capitoli del trattato, soprattutto nel settore agroalimentare, sollevano molti dubbi in relazione alla capacità del TTIP di garantire gli standard di sicurezza a cui gli europei sono abituati.

La creazione di un mercato unico determina tutti i vantaggi che può comportare l’abbattimento di barriere e frontiere virtuali: maggiore circolazione delle merci, costi minori, minori burocrazie, maggior libertà. Il tutto si traduce in esportazione e riduzione dei costi gravanti sulle aziende. Al tempo stesso la creazione di un mercato unico impone anche regole omogenee a cui entrambe le parti debbono adeguarsi, ma su questo punto sorge la questione più spinosa. In soldoni, per aumentare di mezzo punto percentuale il Prodotto Interno Lordo ci porteremmo in casa una quantità inedita di prodotti meno sicuri che comporterebbero un adeguamento al ribasso delle opzioni di consumo delle fasce di popolazione meno ricche. Ma è ancora più complicato di così.

Compromesso alto o basso?

Molto si è detto dei rischi di questo accordo, però non si è quasi mai detta una cosa importante (anche per colpa di chi fa del puro terrorismo mediatico): gli accordi prevedono, per mandato, che gli standard europei siano tutelati (termine però sempre scivoloso) in materia di salvaguardia della salute. Perché allora il TTIP spaventa tanto? Il cuore dell’accordo, che tocca una quantità impressionante di ambiti economici, dagli scambi doganali ai servizi, dagli appalti pubblici alle norme su farmaci, tecnologie, cooperazione, sembra pensato per adeguare due mercati che ragionano in modo completamente diverso. L’accordo ha infatti il dovere di creare un nuovo standard, e quest’ultimo deve essere in grado di negoziare le proprie condizioni con le rispettive controparti.

Negli Stati Uniti si punta sull’autoregolamentazione delle aziende, si crede nel meccanismo premio-punizione del mercato e quando un’impresa mette a repentaglio la sicurezza dei prodotti o truffa i consumatori, viene letteralmente distrutta da sanzioni pecuniarie severissime. Questo modello è incentrato sulla gestione del rischio e sull’analisi costi/benefici: un imprinting culturale ben radicato dai tempi di Ronald Reagan. In Europa invece si regolamenta il più possibile tutto quanto – argomento spesso utilizzato retoricamente dagli antieuropeisti, ad esempio le famose norme sulla lunghezza dei cetrioli o la composizione del cioccolato – e se un’azienda mette a repentaglio la salute dei consumatori è accusata di un reato penale. Questo modello è basato sulla precauzione e sul rifiuto di dare un limite percentuale anche minimo al rischio rispetto all’eventuale beneficio in termini economici (fatturato, tasse, occupazione). Come per gli USA anche l’approccio europeo è frutto della storia e dell’impronta culturale che millenni di storia (guerre, campanilismi, alleanze, scambi) hanno generato.

Due forme antitetiche che tentano di dialogare, si spera e si dice a beneficio di entrambe, ma a patto che non svilisca le peculiarità migliori di entrambi in favore di semplici vocazioni di natura economica.

TTIP: fattori di rischio

Se dunque non corrisponde al vero che col TTIP avremmo sui nostri banconi il pollo alla clorina e altre chimere, ci sono almeno due fattori di rischio potenziali. Il primo: l’adeguamento a uno standard unico EU-USA diminuisce la quantità di informazioni che un consumatore può ottenere dall’etichetta di un prodotto; per cercare di risolvere questo problema, una soluzione potrebbe essere inserire una lista di prodotti europei con una indicazione geografica protetta per tutelare le cose migliori prodotte nel vecchio continente che il TTIP non considera e non tutela; è impossibile trovare Dop, Igp e Doc nelle migliaia di pagine del testo di negoziato, questo perché negli Usa alcuni riferimenti ai prodotti sono nomi comuni. Secondo alcuni esperti di diritto, ci sono troppe clausole in questo negoziato che renderebbero impossibile dimostrare che un certo prodotto fa male, come accaduto con la carne agli ormoni vietata precauzionalmente in Europa senza un vero accordo di tipo scientifico. Il secondo problema è che aprirsi ancora di più al mercato statunitense secondo questo accordo significa per le aziende europee (quindi anche italiane) accettare di farsi giudicare direttamente negli Usa per eventuali problemi e non avere certezza di lavorare coi propri materiali fisici ed intellettuali. Sempre considerando che l’accordo è di tipo investitore/Stato, perciò si è pensato a un tribunale internazionale terzo per la risoluzione delle controversie (altro aspetto al centro delle critiche più accese degli ultimi mesi).

Uno stato potrà dunque dover rispondere delle proprie normative al cospetto di un arbitrato internazionale in caso di denuncia da parte di una multinazionale? Questo è uno dei grandi “incubi” avocati dal fronte dei contrari: con l’approvazione dell’attuale bozza del TTIP, secondo alcune interpretazioni divenute presto celebri, l’accordo stabilirebbe una parziale cessione della sovranità nazionale nel nome di un accordo di natura commerciale. Tale lettura rappresenta, secondo altri punti di vista, una forzatura eccessivamente colorita di quanto accadrà nella realtà, sebbene la nascita di una forma di arbitrato è approdo ineluttabile. Anche perché sono almeno cinquant’anni che non si discute la necessità di tribunali internazionali per controversie del genere e la proposta europea è il tipico tribunale con doppio grado di giudizio, con giudici ordinati da organi politici. Gli Usa invece vorrebbero organi giudicanti scelti caso per caso.

Di questo e molto altro nei prossimi giorni e settimane Webnews parlerà approfondendo i temi e i punti di vista di tutti gli stakeholder.

TTIP: domande e risposte

Il TTIP è un accordo unico nel suo genere?

Non proprio. È dal 1999 che si parla di accordi transcontinentali di questo tipo, che però necessitano di moltissimo tempo. Lo stesso tipo di accordo, tecnicamente definito FTA, è in vigore tra Europa e Canada, mentre gli Stati Uniti lo hanno già approvato con alcuni paesi del Sudamerica e con il Pacifico. Per la Cina invece preferiscono al momento un patto bilaterale.

Quando verrà approvato il TTIP?

Il TTIP ha bisogno dell’approvazione all’unanimità dei 28 stati membri dell’Unione Europea e in più della ratifica dell’Europarlamento e del Consiglio Europeo. La data prevista per la fine del 2016 è dunque impossibile, soprattutto alla luce delle critiche dei primi ministri francese e tedesco. Ragionevolmente, ci vorranno altri quattro anni di negoziati. Molto probabilmente accadrà come con Basilea: il primo accordo verrà stralciato e si ricomincerà. Il TTIP è già morto e verrà forse approvato un TTIP2.

Cosa comporta il TTIP?

Il TTIP è ideato perché le aziende europee possano esportare di più negli USA e aggiudicarsi appalti pubblici, importare una maggiore quantità di beni o servizi di cui hanno bisogno per ottenere i loro prodotti finali, stabilire più facilmente se un prodotto è considerato “Made in Europe” (o Made in USA), investire più facilmente negli USA. Ovviamente questo comporta che anche le imprese americane possano fare altrettanto in Europa. Sul fronte alimentare però gli Usa giocano in attacco e sugli appalti pubblici in difesa, l’Europa il contrario.

Perché abbiamo bisogno del TTIP?

Uno studio commissionato ad Ecorys ha stabilito che grazie a questo accordo le esportazioni aumenterebbero del 27%, soprattutto per quei prodotti finora poco noti su quel mercato: latte, prodotti lavorati, dolciumi, molto made in Italy di alto livello che non è tutelato e viene smaccatamente copiato sul suolo americano, con un “sounding” italiano. E questo vale per moltre altre specificità degli stati membri dell’Unione Europea. Il PIL europeo cresce alla metà della velocità di quello americano, il vecchio continente ha il doppio della disoccupazione e un terzo in meno di reddito medio. Se non vuole farsi schiacciare da Russia, India e Cina, ha tutto l’interesse a fondersi con gli Usa. Il mercato che se ne otterrebbe avrebbe questi numeri:

  • USA – EU (828 milioni di abitanti): PIL 35,9 trilioni(46,2% pil globale)
  • Russia-India-Cina (2,8 miliardi di abitanti): PIL 14,3 trilioni (18,3% pil globale)

All’Italia converrebbe?

In questo momento l’esportazione di prodotti come i formaggi e altri alimenti di questo tipo pagano dazi molto alti: un abbattimento delle frontiere sarebbe vantaggioso per i prodotti del made in Italy, che concorrebbero meglio contro i falsi americani. C’è però il rovescio della medaglia: se è più facile difendere il marchio nel TTIP, lo è molto meno difendere l’origine geografica, la filiera, che per gli americani è un concetto totalmente ignoto e potrebbe pagare il costo di una singola azienda che pensasse di fare la furba, danneggiando la reputazione del marchio territoriale.

Perché il TTIP è stato portato avanti per molti mesi senza informazioni ai cittadini?

Un altro mito da sfatare: la vera segretezza è stata tutta da parte americana. Per principio, hanno condizionato inizialmente i negoziati perché in quelli commerciali è utile una certa riservatezza, e non – come si crede – per facilitare le lobby, anzi è il contrario: per tenerle lontane e consentire al livello politico di lavorare a fari spenti senza troppe pressioni e ostacoli fin dai primi passi. Il TTIP, come tutti gli accordi di libero scambio, è stato portato avanti per circa un quarto della sua strada privilegiando i negoziatori, ora si è all’incirca alla metà, non c’è nessun trattato, nessun testo, e sono già stati pubblicati quasi tutti i documenti. Il TTIP non è avvolto dal segreto, ma è solo un negoziato di cui ora si può parlare perché altrimenti la politica troverebbe troppi ostacoli sulla sua strada. Una questione di equilibrio. È vero che alle versioni più aggiornate accedono soltanto i parlamentari ed europarlamentari, ma se anche i cittadini comuni li avessero davanti sono di incredibile complessità e nessun di loro ci capirebbe nulla. Restano valide le raccomandazioni e i principi di Strasburgo – che evitano che si parli di Ogm, ad esempio, o di deregulation – e sarà sempre l’Europarlamento a pubblicizzare tutto l’eventuale trattato. Discutendone per almeno un altro anno.

Gli Usa sono favorevoli?

Un aspetto strano del TTIP è che il governo americano non ha mai contraddetto questo accordo né l’ha arricchito particolarmente di suggerimenti. Ha una posizione negoziale che non sembra mai approfondita. Questo preoccupa chi pensa che sia soltanto l’america a guadagnarci, mentre altri pensano che la scarsa aggressività derivi dal fatto che impatterà molto meno di quanto si pensi sui rispettivi interessi. In ogni caso anche il cambio alla Casa Bianca influirà: l’eventuale vittoria di Donald Trump alle elezioni di novembre potrebbe spazzare via questo negoziato.

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