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Negli Stati Uniti si accende una nuova miccia nel conflitto tecnologico tra Washington e Pechino: il Dipartimento del Commercio ha avviato una procedura formale che potrebbe sfociare in un ban totale dei dispositivi TP-Link dal mercato USA. Un provvedimento che rischia di lasciare il segno non solo nel settore dei router consumer, ma anche negli equilibri commerciali tra le due superpotenze.
Al centro della questione, le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale: secondo le autorità americane, la legislazione vigente in Cina potrebbe obbligare le aziende come TP-Link a collaborare con il governo, imponendo la condivisione di dati sensibili o l’installazione di aggiornamenti software potenzialmente malevoli sui dispositivi distribuiti a livello globale. Accuse che TP-Link respinge con decisione, sottolineando che i propri prodotti “non rappresentano alcuna minaccia per gli utenti americani” e che l’azienda “non è soggetta a direttive che possano compromettere la sicurezza delle reti negli Stati Uniti”.
L’iniziativa del Dipartimento del Commercio non nasce dal nulla: arriva dopo oltre un anno di indagini coordinate insieme ai dipartimenti di Giustizia, Difesa e Sicurezza Interna, che hanno posto sotto la lente i possibili rischi di compromissione delle infrastrutture critiche americane. Il procedimento prevede una finestra di 30 giorni durante la quale TP-Link potrà presentare le proprie controdeduzioni, seguita da un ulteriore mese di valutazione da parte dell’amministrazione USA. Anche se formalmente resta aperta la porta a negoziati, fonti governative fanno trapelare una chiara preferenza per una soluzione radicale: il ban totale.
Le conseguenze di una tale decisione potrebbero essere di vasta portata. Oggi, TP-Link detiene una quota compresa tra il 36% e il 65% nel segmento dei router consumer negli Stati Uniti, una posizione conquistata grazie a una politica di prezzi aggressiva che ha fatto breccia sia tra i consumatori privati sia tra i fornitori di servizi internet. Un eventuale stop alla vendita dei dispositivi del colosso cinese creerebbe un vuoto difficilmente colmabile nella fascia economica del mercato, con effetti a catena: aumento dei prezzi per i consumatori, carenza di alternative valide e complicazioni logistiche per gli ISP che hanno integrato massicciamente i prodotti TP-Link nelle proprie infrastrutture.
Non sorprende, quindi, che diversi operatori abbiano già iniziato a valutare soluzioni alternative, pur ammettendo che trovare prodotti con un simile rapporto qualità-prezzo non sarà affatto semplice. L’eventuale ban di TP-Link si inserisce in un contesto di tensioni crescenti tra Stati Uniti e Cina, che negli ultimi anni hanno visto l’escalation di restrizioni su diverse aziende tecnologiche, tra cui il caso emblematico della rimozione delle infrastrutture Huawei dalle reti americane. Da parte sua, Washington difende la necessità di queste misure come strumento essenziale per ridurre i rischi nelle infrastrutture critiche e garantire la sicurezza nazionale.
Il dibattito tra gli analisti è acceso: da un lato, c’è chi teme che un approccio troppo restrittivo possa frenare l’innovazione e far lievitare i costi per gli utenti finali; dall’altro, non manca chi ritiene che la protezione delle reti debba essere la priorità assoluta, soprattutto in un’epoca in cui la cyber-sicurezza è diventata un elemento cardine delle strategie geopolitiche.
I prossimi due mesi saranno cruciali: durante il periodo di consultazione e la possibile fase di ricorsi, sia gli utenti che i fornitori di servizi seguiranno con grande attenzione gli sviluppi di una decisione destinata a ridefinire il panorama dei produttori di hardware di rete negli Stati Uniti. Un passaggio che, oltre a influenzare le scelte dei consumatori e degli operatori, rischia di accentuare ulteriormente la distanza tra Washington e Pechino, in un braccio di ferro tecnologico che sembra destinato a durare.
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